Donne, maternità e il peso dell’essere. Tra filosofia e cronaca

“Il problema della maternità” si ramifica in dozzine di esempi e casi diversi, dal tema dell’aborto fino alla “nera” più scabrosa e agli scenari di guerra: un piccolo censimento

La differenza. Alla fine, o quasi, uno si chiede se abbia contato di più il suo modo di essere, la sua differenza personale, o il fatto di essere stato uomo, di essere nato maschio – la risposta non è facile, ma se è sincero… Si può dire anche così: che dopo essersi interrogati a lungo e (quasi) a fondo su che cosa voglia dire essere uomini, ci si chiede che cosa abbia voluto dire non essere stati donne, e si ricomincia, quasi, daccapo.



Scrivo così, senza impegno, per effetto delle cose di tutti i giorni. Si direbbe che la maternità, “il problema della maternità”, ricominci daccapo. Ieri sul Corriere Dacia Maraini scriveva affettuosamente al papa Francesco per dirgli quello che è chiaro a tutti: che la pretesa equidistanza della sua frase da aereo tra Harris che uccide i bambini non nati e Trump che tormenta la vita dei migranti era un inequivocabile voto per Trump. E gli scriveva, Maraini, con una santa pazienza: “Le posso garantire che se il mondo fosse fatto a misura di donna l’aborto non esisterebbe affatto”.



Sempre ieri, la Repubblica riferiva della gran soddisfazione del governo per la conclusione della Commissione europea, che Meloni attribuisce al “pragmatismo delle mamme”. Le rocambolesche avventure famigliari ed extrafamigliari del governo (ordinarie, se il governo non sbandierasse famiglia patria e Dio) non impediscono di insinuare un confronto fra destra e sinistra in cui la destra sia fatta di madri e la sinistra di donne senza maternità. Di tutte le linee divisorie finora escogitate, la peggiore, benché si avvalga della interessante circostanza sull’occasionale prevalere di donne negli opposti schieramenti.



Avevo appena cominciato a leggere alternamente, distratto dall’idea che uno fosse un romanzo e l’altro un testo filosofico, il libro ultimo di Rosella Postorino, “Nei nervi e nel cuore. Memoriale per il presente” (Solferino), e quello di Adriana Cavarero e Olivia Guaraldo, “Donna si nasce (e qualche volta lo si diventa)” – il sottotitolo qui è parecchio più piccolo – Mondadori. Diversi come sono, ambedue i libri hanno a che fare con la maternità. E’ capitato che la lettura coincidesse con le cronache da Traversetolo. C’è un’irruzione non della solita provincia, ma proprio dei piccoli paesi, nella cronaca italiana, in uno la tragedia di una famiglia perfetta, in un altro, a pochi passi, quella di una donna assassinata da uno sconosciuto, di un uomo che assassina una sconosciuta (lei, infatti, gli chiede: “Perché?”), ora di una poco più che ventenne che ha già seppellito due suoi nati, “tutto da sola”. (Appena un mese fa un altro paesino là vicino si era fatto conoscere guadagnando tre medaglie d’oro olimpiche).



Può darsi, non so, che anche molte donne al momento di farsi quella domanda si rispondano che nella loro vita il fatto di essere nate donne abbia pesato più di qualunque altra cosa differente abbiano desiderato, pensato, realizzato. Le risposte di donne e uomini non si somiglierebbero comunque. Senza considerare che qualche volta, oltre a nascere, si diventa.



Nel piccolo censimento di rimandi quotidiani alla maternità – sono comprensibilmente innumerevoli – voglio solo aggiungerne uno, che molti giornali hanno riportato due giorni fa. Si tratta delle 649 pagine in cui il Ministero di Gaza elencava nomi età e sesso di 34 mila palestinesi uccisi. Più precisamente, delle 14 pagine con cui l’elenco si apre, riempite dai nomi dei neonati – le creature inferiori a un anno di età – uccisi. Non le cito per ribadire il raccapriccio. Le cito perché le ho lette come una notizia peculiare, “pregnante”, stavo per scrivere, sul “problema della maternità”.

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