C’è una bomba nel metrò di Milano: i conti che Atm dovrà pagare

Ecco perché è ora di tornare a parlare di fusione con Fnm per creare il quinto polo europeo dei trasporti: progetto strategico per l’intera regione, utile a fronteggiare i 200 milioni annui per realizzare e gestire le due nuove linee della metro di Milano, che sconta il prezzo del suo successo

C’è una bomba in metropolitana, e loro lo sanno: Comune di Milano, Regione Lombardia, Atm e Fnm. Lo sanno tutti, e la politica dovrebbe prenderne atto e adottare opportune e tempestive contromisure. E’ una bomba economica, chiaramente, e la città – ancora una volta – è vittima del proprio successo e del proprio coraggio. Capita di dover prendere atto che la strada era giusta, ma che il pedaggio da pagare è assai costoso. Milano ha da molto tempo percorso la via del potenziamento del mezzo pubblico. Lo sforzo di interconnettere una città di ridotte dimensioni rispetto alle grandi capitali europee, Roma compresa, e che dunque ha una “tascabilità” nelle percorrenze che la rende oltremodo appetibile per il mercato immobiliare. Effetto negativo: tutti vogliono investire a Milano e l’inflazione sotto la Madonnina è diventata una bestia che neppure Mario Draghi forse saprebbe domare. Se esiste un motivo per cui i grandi fondi amano Milano è proprio il suo sistema di trasporti: di superficie, sotterranei e anche aerei, con un city airport all’avanguardia e un aeroporto internazionale ben connesso. Il problema è che tutto questo costa, e costa caro. Costerà ancor di più quando entreranno in funzione completamente le due nuove linee della metro, la 4 e la 5. Secondo una stima tra il pagamento dei mutui accesi per realizzarle e la gestione si tratta di 200 milioni l’anno: nel 2025 100 per M4 e 105 milioni per M5. I proventi dai biglietti sono irrisori rispetto alle cifre ingenti che servono per far marciare i treni sulle due linee: il Comune ha riconosciuto nel 2023 ad Atm 819 milioni di euro, di cui 700 per il servizio e il resto per le nuove metropolitane.



Nel 2025, come detto, questo costo esploderà. La bomba in metropolitana. Il bilancio di Atm parla chiaro. Nell’esercizio 2023 si è chiuso praticamente in pareggio, con poco più di 700 mila euro di utile, grazie al contributo delle consociate estere, frutto di una indispensabile caccia a contratti che possano aiutare un bilancio dipendente dai fondi di Palazzo Marino che – a loro volta – dipendono direttamente dal riparto del fondo per il Trasporto pubblico locale, che a loro volta dipende dalle scelte governative e della Regione. Una parte delle risorse che Atm sfrutta, non irrilevante, è costituita dai proventi della sosta sulle strisce blu e nei parcheggi, da Area C (26 milioni nel 2022, 29,6 nel 2023). Solo su queste il Comune ha una leva per aumentare gli introiti, ma aumentando anche la pressione sui cittadini. Potrebbe mettere a pagamento Area B, e anche razionalizzare il welfare, eliminando gratuità oggi concesse (per gli under 14, o per chi ha un reddito Isee basso, anche non cittadino di Milano).

Per il resto deve continuare nella sua opera di moral suasion governativa, per sua natura soggetta ai colori di chi siede a Palazzo Chigi, oggi non esattamente favorevoli agli inquilini di Palazzo Marino. Non bastasse questo problema, che si riproporrà con precisione crudelmente geometrica ogni anno, provocando emicranie all’assessore al Bilancio Emmanuel Conte, c’è poi il tema del rinnovo del contratto di servizio, che già nel 2017 avrebbe dovuto vedere una gara europea ma che, tra rinvii vari – l’ultimo è stato per il Covid – ora è prevista per il 2026. Per la serie Bruxelles impone, Milano pospone (fortunatamente). E’ certo che però nel giro di circa mille giorni quella vicenda dovrà essere risolta, e la strada che si pensava di percorrere, con la creazione di Next, ovvero di una società che si ponesse come player internazionale ma soprattutto con un connesso diritto di prelazione (vantaggio competitivo non da poco), è oggi assai difficilmente percorribile. Quel progetto pare obsoleto, e dovrà essere rivisto.



Per tutte queste ragioni, come è logico, si è tornati recentemente a recitare un mantra degli ultimi 15 anni, mai trasformato in realtà. Perché nessuno tra gli attori ha mai avuto abbastanza coraggio da sfidare la diversa colorazione politica, i diversi consigli (regionale e comunale), le diverse consorterie e rendite di potere interne alle aziende: la fusione tra Atm e Fnm. Attenzione, non con Trenord, ma con la holding che ormai controlla tutto il sistema dei trasporti lombardo, da Serravalle a Pedemontana ai treni, con interessi anche fuori Regione, in un’ottica di mobilità connessa. Il dossier oggi sarebbe assai più interessante per il Comune di quanto non fosse un tempo. Un po’ per quelle due linee di metropolitana che pesano come macigni. Un po’ perché grazie alla fusione si andrebbe a creare il quinto polo europeo per dimensione, con un fatturato di oltre i due miliardi di euro. Inoltre, sperano dalle parti di piazza Scala, grazie alla successiva quotazione in Borsa arriverebbe in Comune una bella sommetta (si ipotizza oltre 100 milioni) da poter spendere in investimenti. Senza contare che in vista della gara avere un player di questa dimensione sarebbe assai più rassicurante che andare a competere contro i colossi Deutsche Bahn, Ratp e pure Arriva (ex Deutsche Bahn, oggi del fondo Squared Capital). L’operazione, che avrebbe un enorme senso strategico anche per la Regione, in quanto integrerebbe Milano nel resto della Lombardia, ha ovviamente altrettanto controindicazioni tutte politiche. Il Pd ha sempre attaccato frontalmente Trenord e la sua gestione.

Una parte del Consiglio comunale, e in particolare i Verdi che oggi sono i peggiori oppositori di Beppe Sala, farebbero leva sulla “milanesità” di Atm in opposizione a Fnm per attaccare l’attuale giunta. Inoltre avviare seriamente la fusione porrebbe interrogativi che i tecnici dovrebbero dipanare in mezzo a mille pressioni: quanto vale Atm, che ha una patrimonializzazione sicuramente alta ma una cassa non colma; e quanto Fnm, che ha un valore inferiore ma una cassa più florida e soprattutto ha in pancia Trenord, che ha un contratto al sicuro fino al 2034. E (grave preliminare) come fare ad avviare una fusione finché lo Stato non cederà l’1 per cento di Trenord a Fnm, in modo tale da avere un soggetto che controlli l’azienda, così come ha chiesto Attilio Fontana? (Salvini che fa?). La strada è accidentata, ma giova ricordarsi Tony Blair: “Ci vuole più coraggio per fare una cosa giusta che per fare una cosa popolare”.

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