La recensione del libro di Laura van den Berg, edito da Mercurio, 198 pp., 18 euro
In una Florida dove “l’arrivo di un temporale estivo può sembrare la fine del mondo” una scrittrice vede aumentare fuori dalla finestra gli uccelli necrofagi, “corvi bluastri che volano in cerchio, macchie di sangue sul marciapiede”, e anche i gatti, che sembrano “gargoyle sulle ringhiere delle verande” e le lucertole. La narratrice protagonista non firma i suoi libri, è una ghostwriter che lavora per un famoso autore di thriller ambientati a Miami pieni di gangster e cocaina con un twist fantascientifico per avere un mood ’80s à la Tony Montana. “Ogni volta che mi blocco devo solo scrivere niente è come sembra e andare avanti”, dice lei. Ogni tanto vorrebbe scrivere qualcosa di suo per infilarci dentro le emozioni che la tengono sveglia di notte, ricordi di un’adolescenza faticosa. Nelle paludi lì intorno, si dice, si nascondono gruppi armati, i tetti si scoperchiano per i tornado, e si respira un’aria da apocalisse.
“La Florida è abituata ai disastri, ma solo quelli che può chiamare per nome”, dice. Le persone intorno a lei fanno uso di un visore social in virtual reality per la meditazione, Mind’s Eye, in cui ci si può perdere. Il marito corre tutti i giorni per decine di chilometri, la madre fa parte di un gruppo che chiede l’estinzione dell’uomo per salvare il pianeta, la sorella scompare e tocca a lei, alla narratrice, trovarla salendo su un kayak. Nonostante il plot di Paradiso perduto – tradotto da Marta Olivi – appaia flebile, in realtà siamo portati ad andare avanti in quello che appare sempre di più come un sogno, come un’allucinazione, dove i dettagli precisi e verissimi – una pignatta a forma di George W. Bush! – ci riportano alla realtà. Tutta la stranezza di uno stato come la Florida sembra il setting ideale per questo mix inusuale nella narrativa contemporanea tra ordinario e straordinario, dove l’autofiction assume tutto un altro senso quando diventa weird. Van Den Berg è brava a descrivere senza retoriche lo stato di ansia generale (come in certe scene hitchcockiane, e tra tutte viene in mente quella de “Gli Uccelli”) portando a un altro livello l’angoscia millennial sul global warming, creando atmosfere dark senza il fastidio di un soprannaturale ipersimbolico. Anche i commenti sulla vita post-pandemica, al riadattamento, non sembrano moralisti. La lente – sarà per questo elemento allucinatorio – è sempre interessante, e porta a capire che è possibile una coesistenza tra soprannaturale, o percepito come tale, e crisi del mondo contemporaneo.
Questo libro pubblicato da Mercurio – nuova casa editrice entrata a gamba tesa nella narrativa weird, e non solo – è l’ultimo romanzo della 41enne van den Berg, nativa della Florida, e che mai era stata tradotta in Italia, forse per qualche puerile pregiudizio di genere (nel senso letterario).