Conte: “No a Ursula e Fitto. La scissione di Grillo? Ricordo a me stesso la fine che fece Di Maio”

Il leader del M5s: “Non voglio più rispondere alle lettere di Beppe, a lui risponderanno i legali”. I dubbi su Raggi e la posizione grillina in vista del voto sulla commissione Ue

Giuseppe Conte dice che è stanco di parlare di Beppe Grillo e soprattutto di rispondergli via Pec (il fondatore lo sfotte dicendo che è il leader del Movimento 5 Pec). Vuole parlare di politica. E per esempio annuncia al Foglio che non voterà la commissione di Ursula von der Leyen, nonostante la presenza di Raffaele Fitto, un italiano, come vice esecutivo. “Saremo consequenziali: non è una questione di nomi, ma di impianto politico della Commissione: a partire dall’approccio bellicista. Quindi la risposta sulla posizione del M5s è chiara e lineare, come sempre”, spiega Conte senza voler togliere l’autonomia al suo gruppo che siede a Strasburgo. Ecco, ci sarebbero questi grandi temi, ma poi sullo sfondo resta sempre l’elefante, anzi l’elevato, nella stanza. “A lui ci penseranno gli avvocati, io mi occupo di politica e della nostra assemblea costituente che si svolgerà nella maniera più trasparente possibile”.



A dire il vero l’ex premier e leader di un partito in ebollizione chiama il Foglio per smentire che Grillo non fosse a conoscenza dell’inserimento dell’hashtag #pace nel simbolo delle europee. “Fu motivo di dibattito interno al nostro movimento, Beppe compreso ovviamente: attenti alle polpette avvelenate”. Conte non sembra intimorito da questa guerra epistolare, e dunque legale, a colpi di contumelie e diffide. È sicuro di spuntarla. E, soprattutto, non lo scalfisce, almeno così dice, l’ipotesi di una separazione. Con Grillo che magari si tiene il simbolo e il nome M5s. “Vi ricordate Luigi Di Maio?”, chiede sornione Conte.

Il riferimento di Conte, maligno ma fattuale, è chiaro: “Quando se ne andò dal M5s, spinto anche dalla stampa tutta, sembrava dovesse fare sfracelli. Invece non prese l’uno per cento”. Attenzione, va specificato: non che Conte voglia paragonare la parabola dell’ex ministro degli Esteri con il partito Impegno civico alle ultime politiche, non sia mai, però insomma ricorda a se stesso che chi si stacca, si rompe, chi se ne va non ha mai grande fortuna in prospettiva. Conte è convinto che il garante abbia la sponda di Virginia Raggi, ex sindaca di Roma, ora membro del comitato di Garanzia con Roberto Fico e Laura Bottici. Raggi rappresenta la vecchia guardia grillina. Quella del “non siamo di sinistra né di destra”, quella chiusa a qualsiasi alleanza, più radicale, più legata alle origini. “Quanto seguito ha Virginia?”, si chiede, anche qui con un pizzico di retorica, l’ex premier. Consapevole che Raggi in Campidoglio non può contare nemmeno sul sostegno dei consiglieri comunali in un’eventuale conta interna.

In questo colloquio bisogna tener conto di un aspetto non secondario. E riguarda gli elettori del M5s, fotografati da un sondaggio di Swg fresco fresco. Per il 74 per cento ha ragione Conte, mentre soltanto il 14 sostiene il fondatore Grillo. Nel caso di una scissione, quindi se Conte fondasse un nuovo movimento, il 68 per cento dei sostenitori pentastellati lo sosterebbero. E solo il 21 seguirebbe il garante. Lo scarto si riduce quando l’elettorato è chiamato a rispondere sul futuro M5s e sulle alleanze. Il 61 per cento degli elettori 5 stelle vorrebbe cambiare alcune regole interne e andare al governo del paese trovando punti di convergenza con altri partiti. Il 39, invece, preferirebbe “tornare alle origini, a un movimento di protesta intransigente che marchi una netta differenza con gli altri partiti”.

Il 50 per cento vede il M5s in coalizione con Pd e Avs per le prossime elezioni, solo il 9% vorrebbe che corresse in un centrosinistra allargato anche con Iv e Azione, mentre il 33 vorrebbe che il Movimento corresse in solitaria. Come alle origini. Elettorato diviso anche sul limite dei due mandati: il 22 per cento crede che vada mantenuta senza eccezioni, il 52 vuole che sia mantenuta ma prevedendo la possibilità di fare eccezioni, il 19 sostiene invece che vada abolita. Sono sentimenti che l’ex premier conosce bene: con il suo tatto, felpato e democristiano, si è messo alla guida di una base intransigente e poco incline ai compromessi. È lo iato fra l’etica grillina e l’estetica politica contiana. Il problema però è il guru di Genova. Inutile stuzzicare il leader del M5s su questo romanzo epistolare che regala ogni giorno una perla in più. “Finiamola qua con questa pantomima. Se ha altro da dire o da scrivere parlasse con gli avvocati. Cosa ha in testa Beppe? Sinceramente non lo so, ed è difficile stare nella sua testa, in questa fase, per quanto io lo conosca e anche bene”. Lo chiama “sabotatore”. E dice che chi lo consiglia, lo fa “male distribuendo polpette avvelenate alla stampa. Èun segno di debolezza”. È chiaro, conversando con Conte, come il suo interesse primario sia un altro: uscire da queste pastoie legali, parlare di politica, pensare al rilancio di un Movimento che alle ultime europee, come d’abitudine in queste competizioni, non ha brillato. Prima di costruire intanto però dice no grazie a von der Leyen e Fitto. Una bocciatura preventiva e senza nemmeno bisogno di una lettera via Pec.

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  • Simone Canettieri
  • Viterbese, 1982. Al Foglio da settembre 2020 come caposervizio. Otto anni al Messaggero (in cronaca e al politico). Prima ancora in Emilia Romagna come corrispondente (fra nascita del M5s e terremoto), a Firenze come redattore del Nuovo Corriere (alle prese tutte le mattine con cronaca nera e giudiziaria). Ha iniziato a Viterbo a 19 anni con il pattinaggio e il calcio minore, poi a 26 anni ha strappato la prima assunzione. Ha scritto per Oggi, Linkiesta, inserti di viaggi e gastronomia. Ha collaborato con RadioRai, ma anche con emittenti televisive e radiofoniche locali che non pagavano mai. Premio Agnes 2020 per la carta stampata in Italia. Ha vinto anche il premio Guidarello 2023 per il giornalismo d’autore.

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