Andare in vacanza senza dirlo al capo, la nuova tendenza che crea il caos

Partire per un viaggio senza prendersi ufficialmente le ferie: è il fenomeno del quiet vacationing. L’importante è avere sempre un pc con sé per lavorare e non dare sospetti

Una volta si raccontava di alcune famiglie povere che non potevano permettersi di andare in vacanza come tutti gli altri, e che per la vergogna di non poter partire si chiudevano in casa, tiravano giù le tapparelle, serravano le finestre e fingevano di esser andati via anche loro. Al mare, o in montagna, o in qualche bella città d’arte.

Oggi invece, che il tempo del lavoro e il tempo libero sono in pieno duello, alla ricerca (antica, perenne e forse perpetua) di un assestamento ottimale per entrambe le parti, oggi dicevamo, tra smart working e back to office, siamo nella fase opposta: si finge di lavorare mentre, di nascosto, zitti zitti, stiamo in spiaggia. Il fenomeno si chiama quiet vacationing e consiste nel non prendersi formalmente le ferie, non dire al proprio capo che si va in vacanza, mentre invece si parte, con il pc sistemato tra i bagagli, magari in modalità stand by pronto all’uso.

Lo scorso luglio, Monster ha fatto un sondaggio negli States su più di 2.000 lavoratori: il 49 per cento degli intervistati ha dichiarato di valutare di prendere una quiet vacation ​e circa il 15 per cento ha ammesso di averlo fatto, mentendo al boss. Alcuni lo fanno per non perdere soldi, altri non ritengono necessario dire di partire perché tanto non cambia nulla e il capo neanche se ne accorgerebbe. Altri dichiarano che avrebbero voluto farlo, ma poi hanno temuto che il capo li scoprisse.

Più di 120 anni fa, quell’uomo di poca fiducia quale fu il fondatore delle teorie dell’organizzazione scientifica del lavoro, Sir Frederick Taylor, in una conferenza nel 1903 disse che “l’abitudine di far finta di lavorare era così generalizzata” che in una grande industria a stento si poteva trovare un solo operaio che non lavorasse più lentamente possibile cercando invece di convincere il datore di procedere a buon ritmo. Taylor battezzò il far finta di lavorare soldiering, il “tipico passo dei soldati di leva la cui unica preoccupazione era scansare i compiti più sgradevoli”.

Oggi siamo lontani (grandi società di consulenza a parte) da questa ossessione di ottimizzare ogni gesto del lavoratore per aumentare produttività, produzione e profitto. Oggi siamo nel caos totale, dove è vero tutto e il contrario di tutto: è l’epoca dei morti da troppo lavoro, soprattutto (se pur in calo) nei paesi orientali, Corea, Giappone, Cina, (qui lo chiamano karoshi), ma il tema della salute mentale sul lavoro è preponderante in Gran Bretagna e negli Stati Uniti; è anche l’epoca dello storytelling post pandemico, secondo cui il lavoratore è diventato forte, consapevole e va trattato bene, pena l’esplosione di great resignation a catena; la nostra è anche l’age of workaholism, dove si lavora tantissimo per eccesso di ambizioni o per stare lontano dai casini della famiglia. Etc etc…

Ora, non è chiaro se quelli che sono andati in vacanza senza dirlo al capo hanno compiuto un gesto di potere o hanno scontato la condanna della connessione permanente. Certo è che siamo lontani dall’assordante narrazione aziendale di una nuova cultura del lavoro, fondata non più sul controllo, non più sulla collaborazione, ma sulla fiducia, la libertà e la responsabilizzazione non solo dei manager, ma anche dei dipendenti.

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