Il 7 ottobre è uno spartiacque tra l’odio di prima e quello, globale, di adesso

Hamas ha dimostrato al mondo come chiunque viva dentro Israele possa essere rapito e ucciso, con la complicità di un pezzo di società civile: piazze gremite di attivisti che tacciono sui crimini efferati del terrorismo islamico, con la sadica indifferenza di chi sceglie di non vedere la complessità dei fatti

Il 7 ottobre sembra uno spartiacque tra il prima e il dopo. Non tra pace e guerra, ma tra odio e odio. Con la sola differenza che l’odio che precedeva il 7 ottobre sembrava più circoscritto, più locale, mentre l’odio che è seguito al 7 ottobre ha rotto gli argini manifestandosi nella sua globalità. Hamas ha dimostrato al mondo che gli ebrei e coloro i quali – beduini, drusi, musulmani in genere – scelgono di convivere pacificamente all’interno d’Israele, possono essere uccisi, rapiti, torturati senza che il mondo abbia a che ridire. Anzi, ottenendo pieno sostegno nelle piazze, nelle aule universitarie, tra la gente comune. Prima del 7 ottobre c’è stata la stagione dei dirottamenti aerei, dell’avvelenamento della frutta proveniente da Israele; ci sono stati il massacro degli atleti israeliani alle Olimpiadi di Monaco (1972), i massacri negli aeroporti, la presa di ostaggi e il massacro di Ma’alot, il terrore sull’Achille Lauro, gli attentati esplosivi suicidi sui bus, sugli scuolabus, ai mercati, nei ristoranti, nelle discoteche, all’interno della caffetteria dell’Università ebraica di Gerusalemme, il rapimento di soldati di leva, le famiglie fatte a pezzi, i neonati uccisi nei loro lettini, gli attentati col coltello, con l’auto, i razzi sparati quotidianamente da nord (Hezbollah) e da sud (Hamas). Nessuno ha fatto la conta di quei morti, di quei feriti, nessuno ha gridato con orrore che i gruppi terroristici palestinesi – e tutti i cani sciolti loro supporter – stavano cercando di mettere in atto un secondo genocidio di ebrei.

Poi c’è stato il 7 ottobre e le piazze si sono riempite in favore di Hamas. Palestina dal fiume al mare, gridano, chiedendo l’eliminazione dello stato ebraico e dei suoi abitanti ebrei. Le università – dai docenti ai rettori e agli studenti (certo non tutti, ma sempre troppi) – si sono trasformate in campeggi pieni di infiltrati che indottrinavano chi aveva scelto di abbeverarsi alla fonte dell’inganno, emuli delle famose rane della favola di Esopo che ambivano a essere sottomesse a un re e finiscono con l’esserne sbranate. Questo mi ricordano le manifestazioni dei Queers for Palestine o delle femministe del movimento MeToo che hanno voltato lo sguardo quando i miliziani di Hamas e i loro supporter violentavano, mutilavano, squarciavano ventri di donne incinte, tagliavano seni, sparavano nelle vagine di donne, bimbe e anziane ebree. Troppo odio, troppi morti, troppa sadica indifferenza, troppa ignoranza, troppi investimenti arabi nella cultura occidentale. Il mio pensiero va a coloro i quali non ci sono più, a coloro i quali sopravvivono in condizioni disumane, ai bimbi rapiti, ai giovani soldati ventenni che perdono la vita in combattimento. E sì, sono arrabbiata con Netanyahu per essere stato incapace di proteggere i cittadini d’Israele prima e per essere incapace di portarli in salvo ora. Un pensiero particolare a due giovani, che sento particolarmente vicini e che sono stati, fra i troppi, assassinati: Shani Louk e Hersh Golberg-Polin.

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