Gli endorsement di Meloni per Draghi

Battaglia su produttività, natalità e debito comune europeo e lotta contro burocrazia inefficiente e nanismo autolesionista (ma l’unanimità va bene così). Le 5 simmetrie tra Draghi e Meloni, per archiviare l’agenda Beautiful

Dragheloni: why not? Si sa che la presidente del Consiglio, Giorgia Meloni, ha scelto di invitare a Palazzo Chigi l’ex governatore della Banca centrale europea, Mario Draghi, per, così ha detto la premier, “un confronto sul rapporto sul futuro della competitività europea”. Si sa che due giorni fa, mercoledì, Giorgia Meloni ha avuto un breve scambio telefonico con Mario Draghi, con cui non ha mai interrotto i rapporti, rapporti che risalgono a prima del passaggio di consegne a Palazzo Chigi. Quel che però non si sa, e che non è ancora noto, riguarda un tema tutto sommato importante. Ma quali sono, se ci sono, i punti di contatto tra l’agenda Meloni e l’agenda Draghi? E quando Draghi tornerà a Palazzo Chigi, per la prima volta dopo la sua uscita da presidente del Consiglio, su quali temi Meloni potrebbe chiedere al suo predecessore elementi in più per provare a portare avanti alcune battaglie comuni?

Il primo punto utile da cui partire è un tema sul quale Meloni e Draghi certamente non si troveranno: superare l’unanimità nell’Unione europea. L’ex presidente del Consiglio, come molti in Italia, dal Pd a Forza Italia passando anche per il ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti, sostiene che l’Unione europea non funzioni come dovrebbe anche perché ogni decisione presa dal Consiglio europeo deve essere all’unanimità e questo spesso penalizza l’efficienza delle istituzioni europee. Su questo punto la presidente del Consiglio sarà critica e spiegherà all’ex premier che questa non è una battaglia che il suo governo porterà in Europa perché il punto non è trovare soluzioni da imporre a chi non le vuole ma è cercare soluzioni condivise su meno cose, provando a unire e non a dividere. Su questo punto, il premier di oggi e il premier di ieri, non si troveranno, ma su altri punti una convergenza, a tratti anche sorprendente, ci sarà.

Il piano Draghi è anche il piano Meloni quando si ragiona sulla necessità di combattere il nanismo dell’Europa, nanismo che ci rende vulnerabili rispetto alle minacce esterne, e il pensiero tra l’ex premier e il premier di oggi coincide quando Draghi dice “non abbiamo ancora unito le forze nell’industria della difesa per aiutare le nostre aziende a integrarsi e operare su più larga scala”. Stesso discorso sulla necessità di lavorare per stimolare nuovi investimenti dell’Europa e sia la battaglia a favore del bilancio comune sia la battaglia a favore di un debito comune in Europa anche attraverso gli strumenti dell’Eurobond a quanto risulta al Foglio saranno delle partite sulle quali il governo intende spendersi quando partiranno i lavori della nuova Commissione.

C’è condivisione su questi punti, tra l’agenda Draghi e l’agenda Meloni, ma anche su almeno altri tre. Primo: combattere la burocrazia europea che non permette alle imprese di innovare e che allontana i capitali e i capitalisti dal nostro continente. Secondo: investire sulla produttività, trasformarla in un mantra, nella consapevolezza, come dice Draghi, che “rispetto a tutta una serie di parametri tra l’Unione europea e gli Stati Uniti si è aperto un ampio divario in termini di pil, trainato principalmente da un più pronunciato rallentamento della crescita della produttività in Europa” e che “a pagarne il prezzo sono state le famiglie europee, che hanno visto peggiorare il proprio tenore di vita. Dal 2000 a oggi, il reddito disponibile reale pro capite è cresciuto quasi del doppio negli Stati Uniti rispetto all’Ue”. E infine un terzo punto, che coincide con la necessità di fare della lotta contro l’emergenza demografica un punto centrale del cammino del paese.

La capacità da parte dell’Italia di contare in Europa dipenderà naturalmente dal ruolo che verrà assegnato al commissario europeo, a Raffaele Fitto, e non ci vuole molto a capire che la quantità di poteri che avrà Fitto sarà direttamente proporzionale alle cartucce che l’Italia potrà provare a giocare in Europa nei prossimi cinque anni. Ma accanto ai ruoli, che hanno un peso, ci sono anche le battaglie politiche, naturalmente. E se il premier di oggi e quello di ieri riuscissero con un po’ di creatività a unire le forze per portare in Europa un’agenda Meloni-Draghi, l’Italia, in mezzo alle difficoltà francesi e alle crisi tedesche, potrebbe provare a mettere per un po’ l’agenda Beautiful in un cassetto e a passare in Europa dalla stagione delle belle statuine a quella dei prolifici motorini. Dragheloni: why not?

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  • Claudio Cerasa
    Direttore
  • Nasce a Palermo nel 1982, vive a Roma da parecchio tempo, lavora al Foglio dal 2005 e da gennaio 2015 è direttore. Ha scritto qualche libro (“Le catene della destra” e “Le catene della sinistra”, con Rizzoli, “Io non posso tacere”, con Einaudi, “Tra l’asino e il cane. Conversazione sull’Italia”, con Rizzoli, “La Presa di Roma”, con Rizzoli, e “Ho visto l’uomo nero”, con Castelvecchi), è su Twitter. E’ interista, ma soprattutto palermitano. Va pazzo per i Green Day, gli Strokes, i Killers, i tortini al cioccolato e le ostriche ghiacciate. Due figli.

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