Umarell da museo: al Maxxi il cantiere diventa opera d’arte

Uno sguardo inedito sul paesaggio urbano e le sue crisi attraverso gli scatti di cinque fotografi. La mostra “Nuove avventure sotterranee” a Roma

Nel pieno di un’estate romana quanto mai assolata e caotica, ma sopratutto orgogliosamente cantierizzata come non mai negli ultimi dieci anni, appare come una visione icastica e sorprendente la bella mostra fotografica Nuove avventure sotterranee a cura di Alessandro Dandini De Sylva che fino al 25 settembre occupa gli spazi della palazzina Spazio Extra all’interno del Maxxi. L’esposizione che presenta i lavori di Stefano Graziani, Rachele Maistrello, Domingo Milella, Luca Nostri e Giulia Parlato non solo realizza un’interessante e virtuosa saldatura tra una visione dell’immaginario progettuale e le esigenze di un progetto di committenza legato direttamente alla costruzione delle grandi infrastrutture fotografate, ma va oltre presentando un panorama che dialoga con ciò che lo mette in discussione.

Il cantiere diviene così l’opera stessa, rivelando in maniera esplicita tutte le possibili e generalmente nascoste stratificazioni – anche di senso – che appartengono e compongono una radicale mutazione dello spazio. Il cantiere non è più un luogo di passaggio, un’interruzione di un momento, ma diviene la forma sostanziale del paesaggio capace di accogliere potenzialmente infiniti punti di crisi. Ed è attorno a questi nodi critici che agiscono gli scatti dei cinque fotografi indagando le opere in corso da Napoli a Buenos Aires, da Brisbane a Vancouver fino a Auckland. Cinque interventi che offrono una prospettiva inedita che come suggerisce il titolo della mostra risulta essere realmente avventurosa. Corrompendo quell’idea assoluta che pone di fronte sempre e solo a un perenne disagio. Una disfunzione che proprio a Roma e sulla sua pelle urbana ha assunto negli anni la forza di una retorica potentissima, un linguaggio capace di mostrare della capitale un’eterna incapacità a essere se non contemporanea, quanto meno moderna. Ora quest’incapacità, grazie anche agli indiretti suggerimenti visivi di Nuove avventure sotterranee, sembra evidenziare più che un limite, uno stato di grazia. Una distinzione che ne fa rilucere le qualità così come rilucono al sole di agosto gli enormi serbatoi verdi nell’odiatissimo cantiere di piazza Venezia.

Ogni reportage si fonda su un’idea progettuale di coinvolgimento e partecipazione e spesso mette in gioco fortuna e casualità che può portare come nel caso di Stefano Graziani ad agire in un luogo totalmente sconosciuto o come nel caso di Domingo Milella a muoversi come all’interno di un’indagine, un’esplorazione in cui il punctum fotografico vive la mutazione del luogo rigenerandosi e riscoprendosi. Ma è forse il lavoro di Rachele Maistrello che più ancora offre la ricchezza di uno sguardo che invece che farsi invadere, invade lo spazio in lavorazione, interpretando e sognando sulla base di una logica spontanea il cantiere e il suo movimento interiore. Maistrello offre una possibilità nuova di occupazione dello sguardo. Lo scavo è dunque una presenza positiva o negativa? Questa domanda si ritrova nel questionario che la fotografa veneta ha distribuito tra i lavoratori che quel cantiere lo sognano tutte le notti. Un questionario che andrebbe forse distribuito fra tutti gli abitanti di Roma che stanno vivendo mesi di passione e apprensione tra strade interrotte e un sindaco non molto amato ma volenteroso. Chissà le risposte dei romani, tra sogni e paure, date da quella quotidiana seduta psicanalitica detta anche traffico.

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