A Venezia torna in auge uno show che credevamo dimenticato: l’intervallo

Quindici minuti di pausa tra il primo e il secondo tempo. In questo modo gli spettatori possono rilassarsi, scambiare opinioni sul film e fare anche nuove conoscenze

Magari vi sarà capitato di leggere in questi giorni che il film “The Brutalist” di Brady Corbet con protagonista Adrien Brody, presentato alla Mostra del Cinema di Venezia, è in odore di Leone d’Oro; chi ha il naso fino dice anche che annusando bene si riesce persino a sentire un sentore di Oscar (altri dicono che quello è il dopobarba di Brody, ma insomma, ha un buon profumo).

Fra gli effettivi meriti e qualità cinematografiche del monumentale film americano della durata di tre ore e trentacinque minuti, ce n’è uno in particolare che voglio segnalarvi, anche per l’impatto che ha avuto sulla platea in questi giorni al Lido. Circa a metà film viene inquadrata una foto, e questa inquadratura resta fissa per quindici minuti, con la scritta in sovrimpressione “Intervallo”: “The Brutalist” ha reintrodotto la cara, vecchia, fine primo tempo. E non quelle pause che si vedono in certe sale cinematografiche, che all’improvviso si riaccendono le luci e dopo pochi secondi – inutili per qualunque cosa – riparte il film; né una di quelle ripetute pause casalinghe, quando fermiamo lo streaming per andare in bagno, o in cucina, o perché c’abbiamo sonno e lo riprendiamo a vedere domani se non mai.

La pausa di “The Brutalist” è organica al film, parte integrante, per i detrattori è persino la scena più bella. Di quei duecentoquindici minuti, quindici sono d’intervallo. Durante i quali il pubblico in sala, inizialmente sbigottito e smarrito, si è confrontato con questo vecchio rito che i nati negli anni Duemila in effetti non hanno mai conosciuto. Chi ne ha approfittato per alzarsi e andare in bagno, o anche solo per sgranchirsi le gambe, o per uscire fuori a fumare; chi è rimasto seduto, per controllare il telefono o scambiare due parole con il vicino di poltrona. Seduti o in piedi, in sala o fuori, durante l’intervallo il pubblico si è confrontato, scambiato opinioni, idee sul film; c’è chi giura di essersi conosciuto soltanto l’altra sera, durante l’intervallo di “The Brutalist”, e a ottobre si sposano.

C’è qualcosa di profondamente umano e generoso nell’idea di Corbet di prevedere un intervallo: c’è empatia verso la sala, verso le esigenze fisiologiche del pubblico seduto davanti allo schermo già da un’ora e mezza e che deve restarci ancora altrettanto. Speriamo che questo film faccia tendenza, che Corbet faccia scuola, che altri registi decidano di cimentarsi con questo genere: l’intervallo d’autore. Sorrentino potrebbe fare dieci minuti di carrellata sul niente, il tempo di fare pipì; Scorsese un primo piano di DiCaprio che si fa un sonnellino di venti minuti, così da poter uscire un attimo a prendere i pop-corn. Ce n’è bisogno, perché le durate dei film continuano a essere geologiche.

In questi giorni a Venezia la maggior parte delle proiezioni hanno durate che vanno dai centotrentotto minuti ai duecento; per non parlare delle serie, che vengono presentate qui in anteprima a blocchi di quattro puntate alla volta una dietro l’altra senza nessun intervallo; né sono previsti in sala soccorsi della protezione civile con la distribuzione fila per fila di generi di prima necessità. Capita così di vedere gente uscire dalle proiezioni caracollando: magari il film o la serie gli è pure piaciuta, ma sono disidratati.

Questa 81esima Mostra del Cinema di Venezia segnerà una forte carenza di vitamina D. Per tutte queste ragioni, c’è grande attesa qui in Laguna per il nuovo film di Takeshi Kitano, “Broken Rage”, che in realtà sono due film in uno, la stessa storia raccontata in modo diverso, prima seriamente poi la sua parodia. Il tutto in sessantadue minuti; due film in un’ora. E poi tutti a cena. Già solo per questo, Leone d’Oro.

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