Triste Almodóvar: sembrava uscito dal periodo nero, e invece no

Il regista ha presentato a Venezia “La stanza accanto,” un film intriso di tristezza e malinconia. Tra le perle c’è “The Brutalist” di Brady Corbet, un film storico-biografico che celebra l’architettura e la resilienza post-Olocausto con un grande Adrien Brody

Pedro Almodóvar è triste. Molto più che malinconico, come lo avevamo visto in “Dolor y gloria”, cinque anni fa: regista sofferente che incontra dopo anni il protagonista del suo primo film, Antonio Banderas (trama non lontana dai reali esordi propri e del suo attore prediletto). Poi però aveva girato la sua versione di “La Voix Humaine” di Jean Cocteau con Tilda Swinton, e pure il suo “Brokeback Mountain”: i cowboy Pedro Pascal ed Ethan Hawke, uniti in un cortometraggio. Sembrava uscito dal periodo nero, purtroppo gli anni passano: a giudicare da “La stanza accanto”, in concorso a Venezia, ora è tra il triste e il molto triste, magari un pochino depresso. Tilda Swinton è Martha, una celebre fotografa di guerra malata di un cancro che le lascia pochi mesi. Julianne Moore è Ingrid: l’amica lontana incontrata per caso (dopo aver condiviso con lei almeno un fidanzato). La moribonda è sola, con la figlia ha litigato senza speranza. Chiede all’amica Ingrid di trascorrere con lei l’ultima vacanza. Quando Martha manderà giù la pillola mortale (procurata da un amico smanettone nel dark web). Questa è l’atmosfera. E il tono delle conversazioni tra le due donne. Per allargare l’orizzonte – la casa del suicidio è strepitosa ma non basta, e non bastano neanche i maglioni colorati di Tilda Swinton – viene evocata da John Turturro la prossima morte del pianeta. E che non facciamo niente per evitare la catastrofe. Dovrebbe stuzzicare l’interesse di chi ama gli alberi più del suo prossimo. A noi è passato del tutto.

Viaggiano accoppiati Gianni Amelio con “Campo di battaglia” (Prima guerra mondiale) e “Vermiglio” di Maura Delpero (fine della Seconda). Film scritti e girati alla maniera antica. Non solo per gli anni che raccontano – con spregio del realismo: nel 1944 nessun bambino siciliano portava calze e scarpe per giocare a pallone (se aveva scarpe, di solito smesse dei fratelli maggiori, erano per il dì di festa). Il maestro che scrive “epistolare” sulla lavagna e spiega il concetto ai mocciosi tra i banchi della pluriclasse è una brutta figura imposta al bravo attore Tommaso Ragno. Come quando si compra un disco, e la moglie lo rimprovera di sottrarre “il pane ai popi”. Risponde, accarezzando la busta: “Questo nutre l’anima”.

Forse si è sparsa la voce che non ci piacciono i film storici, in costume, di guerra. Sicuro: non ci piacciono quando sono pensati e scritti male. Li detestiamo quando solo fatti alla maniera antica. Genere sceneggiato televisivo in cui si deve spiegare anche quale guerra è in corso – e lo fanno dire ai personaggi, che dovrebbero parlare di guerra e basta, visto che ci sono dentro. “The Brutalist” per esempio è un magnifico film storico-biografico, raccontato con l’entusiasmo e la voglia di novità dell’architetto ungherese László Tóth. Lo ha girato Brady Corbet, di cui finora non eravamo granché fan: complicava trame e messa in scena senza un chiaro punto d’arrivo. Qui governa benissimo la sua storia dal punto di vista visivo e narrativo, avanzando per frammenti. E Adrien Brody non è mai stato così bravo: coppa Volpi subito. Arriva sotto la Statua della Libertà, si stabilisce dal cugino Attila, capisce che è sopravvissuto all’Olocausto ma gli ebrei in Usa non sono sempre bene accetti.

Spala carbone, prima di incontrare il miliardario Van Buren che gli commissiona una libreria. Da sogno, va detto. Spazio circolare, ante orientabili che nascondono i volumi, un poltrona che adesso diremmo di design. 215 splendidi minuti, gran finale con le immagini della Biennale che nel 1980 gli rende omaggio. Lungo, ma il regista ha previsto 15 minuti di intervallo, scanditi da un countdown.

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