Le nuove licenze dei taxi a Roma sono una buona notizia, ma la strada giusta è quella della Consulta

Bene le mille nuove licenze nella capitale, ma da sole non basteranno a risolvere i problemi di mobilità della città. Alcune soluzioni per un problema che attanaglia tutta la penisola, da nord a sud

Il bando per 1.000 nuovi taxi a Roma è sicuramente una notizia positiva, ma tuttavia non risolve i problemi del settore nella città eterna e tantomeno in Italia. Nella capitale ci sono circa 7.800 taxi operativi e per circa 20 anni non sono state emesse nuove licenze. Nessuno aveva avuto il coraggio di andare in questa direzione e c’è da dire che l’amministrazione Gualtieri ha preso una decisione che va in discontinuità con il passato (anche se prima di farlo ha pensato di aumentare le tariffe in città). E qui finiscono probabilmente i punti positivi per queste nuove licenze. Questo incremento arriva un anno dopo il Dl asset che prevedeva la possibilità di aumentare di un 20 per cento il numero delle licenze. Tuttavia gli introiti delle vendite di queste licenze andrà agli operatori che già sono sul mercato, vale a dire i tassisti che già operano e non alla collettività. Licenze che comunque verranno emesse a 73 mila euro l’una nel caso di Roma, quando un’inchiesta del Sole 24 Ore ha mostrato che il reddito medio lordo di un tassista nella capitale è di circa 1.200 euro al mese. Al tempo stesso, è previsto che verrà aumentata la tariffa minima per il servizio a 9 euro, per cercare di eliminare quell’eventuale autoselezione di certe corse da parte dei tassisti, che evidenziavano che dalla stazione di Roma Termini le corse erano poco attraenti da un punto di vista di ricavi.

Si sottolinea che nell’area urbana di Roma si hanno meno della metà dei taxi dell’area di Madrid (dove ogni taxi è utilizzato nel corso della giornata da 2 o più lavoratori) e che nella capitale spagnola vi sono anche 9 mila NCC che completano l’offerta, mentre a Parigi, nei quattro dipartimenti interessati dalla regolazione dell’”area urbana” vi sono invece 20 mila taxi e quasi 45 mila NCC. Proprio sugli NCC si è avuta una sentenza della Corte costituzionale italiana che ha ricordato come la situazione attuale della mobilità non di linea di fatto pregiudichi i cittadini. Tale sentenza arriva dopo le prese di posizioni molto chiare dell’Antitrust e dell’Autorità di Regolazione dei Trasporti che hanno “certificato” come in Italia vi siano disservizi nel settore. Aumentare il numero delle licenze è dunque corretto, ma a Roma vi sarebbe la necessità di diverse migliaia di auto bianche in più e non solo 1.000. Il discorso è valido per Roma, così come per Milano o Firenze. In quest’ultima città, le licenze dei taxi valgono oltre 200/250 mila euro a fronte di redditi dichiarati dei tassisti di 1750 euro lordi al mese. A Roma sicuramente tutta la situazione della mobilità è complessa, dato che ATAC, l’azienda di trasporto pubblico locale controllata dal Comune stesso, offre meno vetture chilometro rispetto anche a un decennio fa. E quindi la crisi della mobilità di linea (vedi la chiusura anticipata della metro per i lavori in corso) ha un riflesso anche sulla mobilità non di linea (su questo i tassisti hanno sicuramente ragione).

Tuttavia, è l’Italia intera ad avere problemi con la mobilità non di linea, taxi e NCC e piuttosto che pensare di chiudere il settore con normative che obbligano un NCC di fermarsi 30 minuti tra un servizio e l’altro, bisognerebbe andare verso un’apertura di questi mercati, come succede in quasi tutti i paesi del mondo. I servizi di mobilità si sono evoluti negli ultimi anni con l’arrivo di piattaforme in tutte le aree del mondo e dalla Tanzania fino alla Thailandia, passando per Singapore o Stati Uniti, ci sono servizi che funzionano. In diverse città del mondo vi sono ormai operativi robo-taxi o taxi a guida autonoma (andare a Phoenix per crederci) dove tramite l’app è possibile avere servizi di mobilità non di linea. L’Italia è quel paese dove per difendere una categoria, in questo caso i tassisti, l’evoluzione tecnologica è vista come un intralcio e soprattutto dove una riforma del settore è diventata ormai un tabù politico. Non è però possibile continuare con i disservizi, come code lunghissime fuori dalle stazioni o grandi numeri di chiamate inevase. La necessità di una riforma del settore (come anche quello del trasporto pubblico di linea) è sempre più un dovere che la politica dovrebbe prendersi nei confronti dei cittadini.

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