La Svizzera vuole tornare a costruire centrali nucleari

Il Consiglio federale fa sapere di voler cancellare il divieto per nuove centrali introdotto nel 2018. Alla base ci sono motivi di sicurezza energetica e necessità ambientali, oltre al timore che le rinnovabili non riescano a soddisfare l’intera domanda di elettricità

Il divieto di costruire nuove centrali nucleari in Svizzera sta per essere cancellato dal governo federale. Nel maggio 2017 l’elettorato svizzero, sull’onda emotiva del disastro di Fukushima, si era espresso a favore della nuova legge sull’energia, introdotta nel quadro del primo pacchetto di misure relativo alla Strategia energetica 2050 protesa all’abbandono graduale del nucleare. La misura è entrata in vigore dal 1° gennaio 2018 e tra le altre cose introduceva un divieto di rilascio di autorizzazioni per nuove centrali. Il tutto senza avere impatti sulle quattro giù esistenti, che continuano a funzionare fornendo circa un terzo della produzione totale di elettricità del paese.

Oggi il governo si trova a mettere in discussione il divieto perché un gruppo di cittadini ha raccolto 129mila firme per chiedere di continuare a utilizzare l’energia nucleare nel paese anche dopo l’esaurimento delle quattro centrali in funzione.

Le centrali attualmente in funzione dovrebbero potenzialmente durare per altri 60 anni, una volta passati i quali, si legge nella nota ufficiale, “l’elettricità che verrà a mancare dovrà essere compensata da altri impianti di produzione in Svizzera. È ancora da vedere se il potenziamento delle energie rinnovabili avverrà tanto rapidamente da permettere di sopperire con tempestività alle capacità produttive venute meno e di coprire il fabbisogno elettrico crescente”.

L’obiettivo della politica energetica svizzera è analogo a quello dell’Unione europea: zero emissioni entro il 2050. Tuttavia, continua la nota, “di pari passo con la crescita demografica aumenta anche il fabbisogno di energia elettrica”. Motivo per cui da Berna l’attuale divieto di costruzione di nuove centrali appare incompatibile con l’esigenza di soddisfare la domanda energetica sul lungo periodo dell’intero territorio, tutto il giorno.

Lo storico legame tra elvetici e atomo affonda le sue radici nei primi anni ‘60, con la messa in esercizio del primo reattore di ricerca e il passaggio quasi totale dall’idroelettrico al nucleare. Per quasi due decenni proliferano le centrali in tutta la Svizzera, con l’ultima costruita nel comune di Leibstadt nel 1984. Dopo l’approvazione popolare della Strategia energetica 2050, nel 2019 è stata ufficialmente disattivata la centrale di Mühlenberg (BE), costruita nel 1972 e attualmente in fase di smantellamento.

La scelta del Consiglio federale punta a investire di nuovo nell’energia atomica e stimolare un’industria spenta da anni di restrizioni e divieti. Sulla stessa linea si muovono sostenitori dell’iniziativa popolare, secondo cui l’assenza di misure volte a tutelare questa risorsa concretizzano “la minaccia di una perdita di know-how, che avrebbe conseguenze durature anche sull’esercizio a lungo termine e sullo smantellamento delle centrali ancora in funzione nonché sull’eventuale costruzione di nuovi impianti”. L’abolizione del divieto, di conseguenza, consentirebbe all’intero settore nucleare di essere maggiormente attrattivo per nuovo personale qualificato.

Nel frattempo, le opposizioni si preparano al contrattacco, forti del 68,72 per cento di voti favorevoli raccolti lo scorso 9 giugno per la modifica delle leggi federali sull’energia e sull’approvvigionamento energetico. In quell’occasione oltre 1 milione e 700mila elvetici hanno approvato la completa sostituzione delle centrali nucleari con le rinnovabili già entro il 2035. Una base di consenso più sostanziosa rispetto a chi vorrebbe più centrali, ma che sottolinea una divergenza di fondo all’interno dell’opinione pubblica.

Dall’assemblea dei Verdi di Basilea a metà agosto, la presidente di partito Lisa Mazzoni dichiarava: “Il nucleare non ha futuro, il nostro futuro è nelle energie rinnovabili”. Oggi, alla luce delle novità dal Bundeshaus, annuncia che il partito è pronto a riportare gli elettori alle urne con un altro referendum per contrastare la costruzione di nuove centrali. Si aggregano i centristi dei Verdi Liberali e anche il Partito socialista, secondo cui il trattamento e lo stoccaggio delle scorie radioattive prodotte dalle nuove centrali non renderebbero la Svizzera meno dipendente dall’estero, anzi. “È ovvio che le centrali nucleari non possono essere costruite senza sussidi statali” continua la nota del PS, in cui si ricorda l’iniziativa firmata con i Verdi per un fondo ad hoc in grado di “convertire la nostra società alle energie rinnovabili con investimenti pubblici e di garantire energia elettrica sufficiente per il futuro”. La consigliera nazionale del partito Gabriela Suter attacca il governo, che “invece di sottrarsi alle responsabilità, dovrebbe agire molto più rapidamente nella protezione del clima”.

Non ha fatto mancare il suo scetticismo anche l’Alleanza per l’uscita dal nucleare, che riunisce 31 organizzazioni di stampo ecologista (come Greenpeace Schweiz e WWF Schweiz), la quale si sofferma sui potenziali problemi economici: “Dall’inizio dell’anno il Consiglio federale ha discusso misure di risparmio per oltre due miliardi di franchi. In questo contesto è incomprensibile l’intenzione di consentire la costruzione di nuove centrali nucleari”, specialmente se “i costi di costruzione di una nuova centrale nucleare in Inghilterra ammontano ora a 50 miliardi di euro”.

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