Lo spazio del centro è a sinistra. Ci scrive Faraone (Iv)

Scegliere da che parte stare è inevitabile: adesso è necessario mettere su un cantiere per realizzare una nuova “cosa riformista”, con un’identità chiara. L’arma della competizione per costruire l’alternativa a Meloni

“Si vince al centro”. Tante volte ce lo siamo detti e con questo motto abbiamo fondato Italia Viva. Tuttavia, purtroppo, se è vero che il centro è decisivo per vincere le elezioni, questo bipolarismo muscolare, tramutato in bipopulismo, lo ha marginalizzato. Un tempo nelle coalizioni le leadership erano affidate a uomini di centro, le estreme concorrevano alla costruzione delle coalizioni senza guidarle, in posizione marginale. Oggi sta accadendo esattamente il contrario, nel centro destra Forza Italia è irrilevante, tant’è che la famiglia Berlusconi ha dovuto suonare la sveglia. Nel centro sinistra al posto del centro c’è una voragine, tolti i riformisti del Pd, ammaccati da un congresso perso, non c’è nient’altro. E’ in questo contesto che deve inquadrarsi il futuro di Italia Viva e delle forze riformiste.

Partendo dall’assunto che il Terzo Polo è morto quando si è diviso e non è rinato in occasione delle ultime europee per l’ostinazione di Calenda ad andare dritto contro un muro mentre in tanti gli segnalavano il pericolo. Ormai non ci credono più i protagonisti di allora, non ci crederebbero più gli elettori adesso. Per essere competitivi scegliere da che parte stare è inevitabile. Italia Viva nonostante un dibattito vivace, probabilmente lo ha già capito, compirà con serietà i passaggi democratici interni a partire dall’assemblea nazionale del 28 settembre, magari anche un congresso e presto lo capirà anche Azione che presumibilmente si dividerà, una parte a destra e una a sinistra.

Naturalmente costruire il centro del centro sinistra partendo da zero non sarà semplice, bisognerà dimostrare che in quella coalizione possa incidere realmente. Servirà pazienza per confrontarsi con chi su tanti temi la pensa diversamente. Finora l’ostacolo era stato scansato dividendosi, adesso occorrerà lo sforzo della sintesi. Ma per riuscire è necessario mettere su un cantiere per realizzare una nuova “cosa” di centro riformista, con un’identità. Una forza che coltivi l’idea di Stati Uniti d’Europa, l’appartenenza al patto atlantico e investa nella difesa comune. Che rifugga dall’assistenzialismo ma si occupi dei poveri e di assistenza. Che promuova la flessibilità del lavoro e dei sistemi di protezione e formazione per chi il lavoro lo perde. Che investa in un Mezzogiorno che spinga sulle proprie potenzialità, senza scadere nei salari differenziati e nella sanità, nella scuola offerte in maniera differenziate ai cittadini a seconda del luogo di nascita. Che creda nella libertà d’impresa, non nel liberismo sfrenato e senza preoccupazioni per l’emergenza ambientale. Che creda in una minore imposizione fiscale e nel principio della sussidiarietà. Che pensi a un pubblico e un privato che concorrano a una migliore qualità dei servizi da offrire ai cittadini. Che investa nelle liberalizzazioni preoccupandosi delle necessità sociali scaturenti dai processi che ne derivano. Che non abbia paura di investire sull’intelligenza artificiale, occupandosi del governo dei cambiamenti culturali e sociali che emergeranno.

Serve una forza riformista, ma popolare, che non reputi il welfare un ingombro, un costo improduttivo. Le nuove generazioni rischiano pensioni da fame, dopo aver vissuto con salari da fame. Si vive di più ma non cresce significativamente l’investimento in sanità e nell’assistenza agli anziani, in politiche per la famiglia. Serve una forza riformista che si sporchi le mani, che frequenti i luoghi del disagio e della produzione, che non associ alla parola immigrati la parola sicurezza, ma opportunità. Serve una forza politica che garantisca i diritti civili e le libertà individuali. Che creda nel garantismo come principio sancito dalla Costituzione. Per fare tutto questo non può bastare una forza che abbia come obiettivo il galleggiamento. Non susciterebbe alcun entusiasmo se non in chi è ispirato da una logica di pura sopravvivenza e pensa di lucrare qualche seggio da un accordo col centro sinistra nella speranza che uno di quei seggi gli spetti per virtù divina. Per questo sono d’accordo con Matteo Renzi quando ha detto che Italia Viva è a un punto di svolta.

Dobbiamo lavorare per aggregare. Non possiamo dare la sensazione di voler costruire una zattera per pochi, che al massimo aspira a diventare, per concessione del Pd, quello che fu il “Rinnovamento Italiano” di Lamberto Dini. Non è Bettini che può dirci il lavoro che dobbiamo fare. Dobbiamo essere noi a prendere l’iniziativa per questa nuova “cosa”, che appaia veramente nuova, fresca, democratica, che non potrà più perire sotto i colpi del “voto utile” perché parte di una coalizione che mira a sconfiggere la destra. Una forza che allo slogan “uniti si vince”, sommi quello che Prodi un tempo coniò: “competition is competition”. All’interno di un’alleanza è così, marciare divisi per colpire uniti, essere subalterni minerebbe la credibilità e farebbe morire prima di nascere la “cosa riformista”.


Davide Faraone, deputato di Italia Viva

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