È grazie a Barbera se si va alla Mostra del cinema di Venezia a cuor leggero

Il presidente della Biennale Pietrangelo Buttafuoco ha riconfermato, per altri due anni, il direttore che ci ha dato i migliori Festival della nostra vita. Il cocktail che non sbaglia mai la miscela, né le scelte importanti

Si parte. Dopo aver prenotato i biglietti per le proiezioni – eredità del Covid che ci teneva a distanza, una poltrona libera a destra e una a sinistra, si chiacchierava solo in diagonale. L’abitudine è rimasta, e sono rimaste anche le code: il cinefilo è animale sociale e vuole orecchie che ascoltino le sue lamentele, quindi arriva prima del tempo (alcuni puntano alla stessa poltrona da anni, sport ormai di estrema difficoltà). L’algoritmo quest’anno ha letto Flaiano, sa che “in Italia l’arabesco è la linea più breve tra due punti”, e allora un giorno si prenota alle 2 del pomeriggio, tre giorni dopo alle 11 del mattino, un’altra volta alle 6 e 45 (mattino, sempre mattino, il festivaliero non dorme mai).

Si va alla Mostra di Venezia con l’animo lieto, dopo aver compilato la scheda relativa alla “neutralità carbonica”. Tutti i festival ormai tengono all’impatto zero, vogliono sapere dal cronista se arriva al Lido in treno o in macchina – così da lasciare ai divi la possibilità di esagerare con le emissioni del loro jet privato.

Si va con animo ancor più lieto – tre o quattro film al giorno possono essere una tortura, per chi non ama il cinema sopra ogni cosa, di più in questi anni di carestia – sapendo che il 2024 non sarà l’ultimo anno del direttore Alberto Barbera. Il presidente della Biennale Pietrangelo Buttafuoco lo ha riconfermato per altri due anni.

Evviva. Ha evitato la magra figura del 2002, quando l’allora ministro della Cultura, Giuliano Urbani, allontanò il direttore Barbera prima della scadenza, lasciando la Mostra in un limbo fino all’arrivo di Marco Müller. Tornato al comando nel 2011, Barbera ci ha dato le migliori Mostre della nostra vita. Scegliendo titoli come “Gravity”, che poi vinse l’Oscar (non servono tanti soldi per andare nello Spazio, basta una bella storia ed effetti speciali furbi). Oppure grandi film di supereroi come “Joker” di Todd Phillips, con Joaquin Phoenix nella parte dell’arcinemico di Batman, qui diventato protagonista. Lo sarà anche in “Joker: Folie à deux”, con Lady Gaga nella parte di Harley Quinn. Ma come, un sequel invitato con tutti gli onori a un festival, pure in concorso? Certo, così come vengono accolti i film di Netflix che Cannes relega al fuori concorso.

È il cocktail Barbera, che magari sbaglia a scegliere un film ma non sbaglia la miscela, e neppure sbaglia le scelte importanti. Vediamo più cinema sulle piattaforme che in sala, non sarà bello ma non è neppure la fine del mondo come noi lo conosciamo. E vediamo anche le serie, tante serie. In programma a Venezia quest’anno ce ne sono quattro, fuori concorso. Apre l’eterna storia italiana, “M – Il figlio del secolo”, dalla massicciata di volumi firmati Antonio Scurati (qualcuno aveva detto “la mafia è il nostro western”; sbagliato: “il fascismo è il nostro western, una saga infinita).

C’è Alfonso Cuarón con “Disclaimer”, da “La vita perfetta” di Renée Knight: una giornalista deve vedersela con un romanzo che racconta tutti i segreti, anche piccanti, del suo passato. Thomas Vinterberg porta al Lido “Famiglie come la nostra”: la Danimarca è distrutta da un’alluvione, i ricchi possono decidere dove andare, i poveri vanno dove dice il governo. Rodrigo Sorogoyen – l’immenso regista madrileno di “As Bestas – La terra della discordia” – porta “Los años nuevos”: dieci anni nella vita di una coppia. E poi “Leopardi” di Sergio Rubini (speriamo senza gobba, per una volta).

Ciliegine (ma ci vuol coraggio). Apre “Betlejuice Beetlejuice”, auto-remake di Tim Burton. Il film più atteso e “Queer” di Luca Guadagnino: poco sesso e molta tequila, con Daniel Craig nel Messico anni 50.

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