Il balzello per i “paperoni” raddoppia, ma resta una misura iniqua

La tassa piatta si gonfia fino 200 mila euro l’anno. Ma l’incoerenza di fondo annichilisce ogni ambizione di questa misura, senza neanche monitorarne l’effettiva validità. Sarebbe meglio concentrarsi su una riforma del fisco che tagli le tasse a tutti, anzichè preservare una deroga riservata a pochi beneficiari con redditi elevatissimi

Il governo sembra pronto a raddoppiare, da 100 a 200 mila euro all’anno, la cosiddetta “flat tax per i paperoni”. Il ministro Giancarlo Giorgetti è stato criticato per questa scelta, ma se una critica gli va fatta è quella opposta: quel tributo, con le sue attuali caratteristiche, è indifendibile e rappresenta un manifesto a favore della forma più odiosa di diseguaglianza, cioè quella che deriva dalle scelte del sovrano. Esso andrebbe gradualmente ricondotto alla fiscalità ordinaria, non semplicemente rivisto. La cosiddetta flat tax non è, in realtà, una tassa piatta, ma un’imposta forfettaria sui redditi esteri, a cui possono volontariamente aderire i soggetti non residenti che portano nel nostro paese la propria residenza. In tal caso, accedono a un regime sostitutivo che prevede, appunto, il versamento di 100 mila euro, più 25 mila euro a testa per ciascun famigliare che li segue. Nel 2022 ne godevano 1.136 individui, di cui 818 contribuenti principali e 318 famigliari, per un gettito complessivo di poco inferiore ai 90 milioni di euro.



I fautori dell’imposta sostengono che, senza questa agevolazione, essi non si sarebbero mai spostati in Italia ai fini fiscali, e quindi la sua abolizione (o revisione) comporta inevitabilmente una perdita secca. È possibile che abbiano ragione, ma non possiamo saperlo: da anni la Corte dei conti lamenta che “l’Agenzia delle Entrate non è a conoscenza né dell’ammontare dei redditi esteri sui quali agisce l’imposta sostitutiva, né delle imposte ordinarie che sarebbero state effettivamente prelevate su tali redditi in assenza del regime sostitutivo”. Inoltre, non è stato messo in atto alcun meccanismo di monitoraggio per verificare se la norma è efficace rispetto al suo obiettivo dichiarato, cioè “favorire gli investimenti in Italia da parte di soggetti non residenti”. Una cosa sola si può presumere: i beneficiari sono persone ad alto o altissimo reddito.



L’imposta solleva anzitutto una questione di metodo. Normalmente, per quantificare l’impatto di bilancio dei bonus fiscali, la Ragioneria generale dello stato stima quale sarebbe stato il gettito ordinario e valuta quindi per differenza le eventuali coperture necessarie. In questo caso, non è stata effettuata alcuna stima, dando apparentemente per scontato (magari ragionevolmente) che quel gettito non ci sarebbe stato. In base allo stesso principio, si potrebbe argomentare che azzerando o quasi le imposte per tutte le nuove imprese non si perde alcun gettito, perché quelle aziende ancora non esistono. E’ ovviamente un paradosso, ma aiuta a ribadire il tema dell’opacità nelle bollinature e l’assoluto disinteresse alla valutazione degli effetti reali delle politiche pubbliche.

Poi c’è un evidente problema di equità: tutti denunciano le diseguaglianze, salvo poi tollerare nell’ordinamento un’imposta (tra l’altro, voluta e difesa dalla sinistra) che applica a molti veri ricchi un’aliquota fiscale effettiva che i poveri si sognano. Perché si invoca sempre a sproposito l’articolo 53 della Costituzione, relativo alla progressività del sistema tributario, salvo poi chiudere gli occhi di fronte a una tassa per la quale la regressività non è un difetto o una conseguenza indesiderata, ma un marchio di fabbrica?

Infine, c’è una curiosa contraddizione politica: i partiti italiani sono schierati come un sol uomo contro la concorrenza fiscale, che pure dipende dal fatto che altri stati tassano meno dell’Italia perché spendono meno (e dunque hanno minori esigenze di gettito). Con che faccia si fanno vanto di un regime sostitutivo che fa uno sfacciato regalo fiscale a un pugno di contribuenti, e rappresenta un insulto ai lavoratori italiani, per giunta in un paese super indebitato? È paradossale che ci sia voluto il governo più a destra della storia della Repubblica per sollevare la questione.



Va benissimo, quindi, raddoppiare l’entità del balzello: sarebbe ancora meglio eliminare questa ennesima deroga per pochi privilegiati e concentrarsi su una riforma del fisco che tagli le tasse (tagliando le spese) a tutti i contribuenti, e contemporaneamente dia al sistema tributario un aspetto ordinato e coerente.

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