Chi c’era e chi non c’era nella lista dei prigionieri politici che Putin non ha voluto liberare

Tra i designati allo scambio storico tra occidente e Russia ci sarebbe dovuto essere anche Alexei Navalny, nonostante i timori tedeschi. Qualcosa, però, impedisce che tutta la storia venga chiarita

Come si è formata la lista dei prigionieri politici liberati da Russia e Bielorussia nello scambio storico con i paesi occidentali lo scorso primo agosto? L’interrogativo ha iniziato a circolare un attimo dopo che la testata The Insider, in anteprima, ha pubblicato le generalità dei 16 detenuti. E la domanda è diventata ancora più pressante non appena Jake Sullivan, il consigliere per la sicurezza nazionale del presidente americano Biden, ha annunciato che Alexei Navalny, se non fosse morto nella colonia penale in cui era prigioniero, avrebbe dovuto far parte dello scambio. A quanto pare, Navalny sarebbe stato il prezzo richiesto per liberare Vadim Krasikov, il colonnello dell’Fsb voluto da Putin, colpevole dell’omicidio di un ex-comandante ceceno e uomo dell’intelligence georgiana, avvenuto a Berlino nel 2019.

Stando a una ricostruzione del settimanale Die Zeit, a gennaio la ministra degli Esteri tedesca, Annalena Baerbock, avrebbe, tuttavia, messo il proprio veto all’operazione poiché temeva che, una volta liberato, Navalny potesse tornare in Russia, come era accaduto già dopo il suo avvelenamento e le cure prestate proprio in Germania. Insomma, che Navalny fosse parte della trattativa non c’è dubbio, ma che la sua scarcerazione, prima della morte improvvisa, fosse imminente, come hanno sempre ripetuto i suoi compagni della Fbk, la Fondazione anticorruzione ormai dislocata nella Repubblica federale, resta ancora oggetto di indagine. Per Die Zeit fu soltanto la trattativa personale di Biden con il Cancelliere Scholz a far desistere Baerbock, proprio poco prima che Navalny morisse il 16 febbraio. A non credere, però, alla tesi della liberazione imminente è Alexei Venediktov, giornalista di opposizione, bollato come “agente straniero” in Russia, in passato criticato per la sua connivenza con il regime proprio da Navalny. “Io sono al corrente di alcuni elementi dello scambio – dice sibillino al Foglio – ma qualcosa impedisce che la storia venga chiarita”. E del resto, anche Vladimir Kara-Murza, uno dei dissidenti liberati proprio per consentire che la trattativa su Krasikov si sbloccasse, nella conferenza stampa che ha tenuto nella sede della Deutsche Welle a Bonn il giorno dopo la liberazione, non ha mancato di stigmatizzare “la rigidità” del governo di Olaf Scholz, in assenza della quale Navalny “forse oggi sarebbe ancora vivo”.

Ma vi sono altri elementi dello scambio che continuano a essere poco chiari. Nella medesima conferenza stampa, Ilya Yashin, l’altro politico di opposizione rilasciato nello scambio, ha rivelato che sulla lista, inizialmente, c’erano altri nomi e non il suo, ossia quelli di Alexei Gorinov, politico locale moscovita del suo stesso distretto, il primo a essere condannato per il nuovo reato di vilipendio delle Forze armate nel luglio 2022; Ivan Safronov, l’ex giornalista di Kommersant arrestato nel 2020 e condannato a 22 anni di colonia penale con l’accusa di aver rivelato segreti di stato all’intelligence ceca e Daniel Kholodny, l’ex-direttore del canale YouTube di Navalny. Si tratta di un’informazione che Yashin avrebbe avuto in carcere nei mesi scorsi da Christo Grozev, il giornalista investigativo bulgaro titolare dell’agenzia BellingCat che ha aiutato Maria Pevchikh, la neopresidente della Fbk di Navalny, nella interlocuzione con il governo tedesco. Grozev lo ha poi confermato in una breve intervista dell’altro ieri alla versione russa della Bbc. Ed è proprio su queste basi che Yashin, a giugno, nel rispondere alle domande del canale tv Dozhd, si era detto indisponibile a partecipare a qualsiasi scambio che lo portasse lontano dalla madrepatria.

Dopodiché lo scambio è avvenuto lo stesso: a Gorinov è stato preferito proprio Yashin, a Safronov Demuri Voronin, il russo con passaporto tedesco che, non a caso, era stato condannato a 13 anni proprio per aver trasmesso alla Germania informazioni ricevute dal giornalista e, infine, a Kholodny altri coordinatori della rete locale di Navalny in Russia. Lo scambio, del resto, è avvenuto senza chiedere il consenso a nessuno dei detenuti coinvolti, soltanto alcuni (l’artista Skochilenko e la coordinatrice di Navalny a Ufa Chanysheva) avevano formalmente chiesto la grazia del Presidente.

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