L’oro da sognatore di Nicolò Martinenghi

Capelli color platino e faccia un po’ folle, il 25enne di Varese non ha ancora finito di nuotare nell’oro: “Non mi sarebbe bastata una medaglia qualsiasi, io la volevo così”

Il primo oro italiano ha i capelli color platino e la faccia un po’ folle, ma allegra e genuina di Nicolò Martinenghi. Arriva nell’ultima gara di una domenica nera per lo sport azzurro, una domenica che pure era cominciata con la mira giusta di Maldini e Monna nella pistola. È un oro da sognatore come racconta questo ragazzo di Varese che giovedì compirà 25 anni e non ha ancora finito di nuotare nell’oro. “L’ho sempre sognata, anche nei momenti più bui. Non mi sarebbe bastata una medaglia, io la volevo così… Bisogna sfruttare le occasioni e io l’ho fatto. Era una gara strana, ma io non sentivo la pressione quando sono arrivato a bordo vasca, non pensavo a niente ero completamente libero. Marco (Pedoja) il mio allenatore credeva in me addirittura più di me stesso, lui mi ha detto che ero il migliore dei finalisti… per convincermi ha anche cominciato a parlarmi del 7, la corsia in cui avrei nuotato e dove volevo nuotare da tanti anni perché era quella dove lo facevo da piccolo a Brebbia. Marco ha anche un 7 sul suo braccialetto… mi ha detto questo è un segno”. Un segno che è diventato un sogno. “Quando serve. Sempre” gli ha subito scritto sui social Greg Paltrinieri. “Ho sfruttato al meglio l’occasione, non capivo niente quando nuotavo. Mi sono guardato di fianco solo negli ultimi dieci metri ho visto Nick accanto e mi sono detto: se dobbiamo combattere combattiamo. Quando ho toccato ho visto la lucina non avevo capito bene e allora mi sono tolto gli occhialini e ho letto il numero 1. Allora sì ho capito che era fatta!”.

È straripante come in acqua, in una finale dei 100 rana lentissima (con il suo tempo a Tokyo sarebbe arrivato settimo) per colpa di una piscina che rallenta solo i ranisti. “Nessuno riesce a spiegare perché siamo così lenti anche se diamo il 100%. Ne ho parlato anche con Adam e Nick prima del podio. Non ci sembra di essere così lenti quando nuotiamo. Ma sinceramente non mi interessa. Sono stato il più veloce di tutti e mi interessa solo questo. L’Olimpiade è una gara da vincere non da fare il tempo”. I record si fanno in altri momenti. Ai Giochi si nuota, si corre, si salta per quella medaglia lì che Nicolò accarezza per tutto il tempo. Magari ci farà un gioiello nel laboratorio del padre, là dove dopo Tokyo si era inventato una collana: “Ci metteremo lì a tavolino e studieremo qualcosa… mi piace ideare e costruire i gioielli ancora prima di metterli”. Il brillantino all’orecchio è l’unica concessione che si fa, lui ragazzo senza tatuaggi sulla pelle. Anche se adesso, dopo l’oro, chissà…

Ha vinto contro Peaty, che aveva conquistato l’oro nelle ultime due edizioni dei Giochi, uno dei suoi idoli di sempre in una finale dove c’erano davvero i migliori della specialità. “Era il mio punto di riferimento, averlo battuto nella gara più importante, è qualcosa di incredibile. C’erano tutti i più forti questa volta. Ma io mi sono detto mi butto, io non ho paura, non ho mai avuto paura. Volevo solo nuotare e divertirmi. In qualifica e in semifinale ero nervoso e non mi sono divertito. Ma oggi ero rilassato, abbiamo scherzato, abbiamo giocato a briscola e anche in camera di chiamata ho scherzato con Thomas…”. Che è Ceccon, l’altro uomo d’oro che stasera insegue quello dei 100 dorso. Un grande amico che quando lo ha visto vincere ha detto “Che culo!”. “Può essere”, gli risponde ridendo Nicolò. ”Intanto posso dire di essere diventato campione olimpico prima di lui”.

“È una medaglia che dedico a tutti, per primo a Marco con cui abbiamo fatto un percorso infinito in questi anni, lavoriamo insieme da 13 anni e questa era l’unica medaglia che ci mancava. Ho vinto l’Europeo, ho vinto i Mondiali e adesso posso dire di aver vinto anche le Olimpiadi. La medaglia è per lui, ma anche per la mia famiglia, per Adelaide la mia ragazza, per i miei amici che mi trattano come il Tete di sempre”, dice prima di rispondere al ministro Abodì che lo cerca sul telefonino del presidente Barelli. “Gli altri hanno fatto la torta, io ho messo solo la candelina”, gli dice diventando serio per il tempo di una telefonata. È arrivato il momento di pensare a cosa fare: “Volevo rasarmi a zero, ma non posso farlo perché sono scaramantico”, quella scaramanzia che gli dice di non cantare l’inno sul podio. Chissà perché. Ma hanno cantato in tanti in una piscina dove fino a quel momento aveva suonato soprattutto la Marsigliese, cantata a squarciagola per il primo oro di Marchand. “Sul podio qualche lacrima mi è scappata, ma l’ho mascherata bene… Questa è certamente una medaglia che ti cambia la vita, mi sento una persona soddisfatta del mio percorso. Vincevo il Mondiale, l’Europeo, ma sentivo che mi mancava qualcosa. Adesso non mi manca più. Adesso posso dire di essere soddisfatto e completo e mi sento addosso tutte le emozioni”. Quelle per cui vale la pena vivere, quelle che ha sempre inseguito tuffandosi in acqua. “Questo è un miracolo italiano. Sono medaglie che arrivano grazie al lavoro di società che non si fermano neppure quando chiudono le piscine”, aggiunge il presidente della Federnuoto Barelli che è anche capogruppo di Forza Italia alla Camera. Adesso arriveranno tanti bambini in piscina, è il caso di cominciare ad attrezzarsi per continuare a nuotare nell’oro, come il nuoto italiano aveva fatto solo 5 volte (2 Fioravanti, poi Rosolino, Pellegrini e Paltrinieri) nella sua storia.

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