Il coraggio che serve alla Chiesa

Dall’Ucraina alla Cina, per la diplomazia vaticana non è più il tempo del silenzio davanti ai totalitarismi. La reazione necessaria per difendere le libertà fondamentali minacciate, anche in occidente

A seguito dell’incontro dei rappresentanti della Chiesa e del governo cinese a Roma lo scorso 21 maggio, a commemorazione del centenario del primo Concilio della Chiesa cattolica in Cina, pare opportuno ripercorrere la storia – e con essa i risultati – della diplomazia papale, le cui origini risalgono almeno al V secolo. Come il nostro Catechismo specifica, la Chiesa è testimone sia della nostra comune dignità sia della vocazione del singolo all’interno della comunità di persone; al contempo, ci istruisce riguardo alle necessità di giustizia, libertà, sviluppo, relazioni umane e pace. E’ nella complessa rete di relazioni sociali internazionali che la Chiesa cerca di rendere conosciute le richieste del Vangelo. Gesù Cristo è dopotutto non solo il salvatore dell’individuo, ma anche il redentore delle singole unità sociali e della società nel suo complesso.

Il Papato ha saputo impiegare una rete di suoi rappresentanti presso le Chiese locali e gli Stati, solitamente attraverso vescovi ambasciatori o legati pontifici, la cui forma si consolidò successivamente alle guerre napoleoniche, con il Congresso di Vienna (1814-1815). Ancora oggi, la diplomazia papale è di fondamentale importanza negli sforzi volti a ridurre le oppressioni, prevenire repressioni e violenza e prevenire o por fine ai conflitti bellici. Anche dove la guerra sembra inevitabile, la diplomazia pontificia non teme di esporsi e di discernere le caratteristiche della guerra giusta e della legittima difesa.

Le dittature totalitarie del Ventesimo secolo hanno evidenziato non solo il bisogno, ma la necessità di questo ministero ecclesiastico. Invero, un capitolo particolarmente eroico della diplomazia vaticana fu scritto da Achille Ratti e da Eugenio Pacelli, divenuti poi Pontefici (rispettivamente Pio XI e Pio XII), la cui esperienza diplomatica ed erudizione portarono frutti inaspettati e assicurarono alla Chiesa una missione che non solo le portò ammirazione, ma che le rese possibile anche di prosperare su scala globale. Le loro successive encicliche non si possono immaginare a prescindere dal loro precedente servizio diplomatico presso le nunziature. La difficoltà della Chiesa durante il Secondo conflitto mondiale, il suo supporto alla resistenza nella Repubblica Ceca, in Polonia e altrove, così come il suo contributo alla costruzione di un mondo in pace meritano non solo ammirazione, ma anche gratitudine per questi uomini di Chiesa coraggiosi.

La fine degli anni Cinquanta, tuttavia, fece da sfondo a una trasformazione del servizio diplomatico. I princìpi della lotta per la libertà e per la dignità umana cominciavano a essere accantonati a favore di una politica di distensione che era promossa prevalentemente dalla sinistra e dagli stati comunisti. La diplomazia vaticana favorì una forma di realismo e di diplomazia “silenziosa” (nota come “Ostpolitik”) che trattava in maniera più simile a quella degli stati nazionali, i quali talvolta subordinano valori propri dello stato di diritto per raggiungere i propri scopi. La diplomazia vaticana mirava a concludere accordi bilaterali per salvaguardare la vita delle comunità locali e ciò anche sacrificando i desideri e le aspettative delle chiese locali. Nel tentativo di “cooperare” con i regimi comunisti, il Vaticano provò ad adottare un metodo più dolce, cedendo sui temi dei diritti umani e della libertà religiosa. Prelati come il cardinale Jószef Mindszenty divennero la coscienza della Chiesa cattolica, confinati per il loro rifiuto al compromesso. Dozzine di vescovi furono detenuti nelle prigioni comuniste d’Europa, Cina e Vietnam. Alcuni di essi, come Ignatius Kung, trascorsero decenni in prigione. Durante quegli anni, ci trovavamo a camminare sulle orme di vescovi eroici come il lituano Theophilus Matulionis – esempi che ci hanno mostrato come gli ideali non debbano mai inginocchiarsi di fronte a realtà inaccettabili. Molto prima di lui, vescovi come san John Fisher, poi condannato a martirio da re Enrico VIII, pregavano per tali “forti e potenti pilastri”, riconoscendo che anche gli apostoli “altro non erano che argilla tenera e malleabile fino a che non furono fortificati dal fuoco dello Spirito Santo”.

Un simile pilastro emerse. La diplomazia silenziosa fu abilmente superata sotto Papa Giovanni Paolo II, il quale fortificò le reti di informazione sotterranea e dissidente per poter alzare la propria voce ed estendere il proprio raggio d’azione. Egli insistette perché il Vangelo di Gesù Cristo fosse reso pubblico in ogni occasione. Contro le speranze dei comunisti polacchi, portò la verità ad un popolo che rispose cantando “vogliamo Dio”. Gli ideali e i princìpi della sua missione diplomatica erano radicati nella rivelazione divina – la Bibbia – e nella tradizione della Chiesa. Divennero visibile e indispensabile parte del suo ministero papale globale. La lotta per la dignità e per i diritti della singola persona creata a immagine di Dio, il bene fondamentale della famiglia e l’autonomia della nazione avevano tutti in lui un forte sostenitore.

Oggi la Chiesa affronta minacce e sfide differenti. Nell’occidente in generale, e nel mio stesso paese, si verificano tentativi di escludere la Chiesa – e le verità sulla persona umana – relegandole lontano dalla sfera pubblica. In alcuni paesi occidentali, scuole e insegnanti vengono minacciati quando si trovino a insegnare verità fondamentali, come la differenza tra maschi e femmine. Uomini e donne vengono “messi a tacere” dai propri concittadini, alcuni anche licenziati dal proprio lavoro, per posizioni a favore del bene del matrimonio e del valore di ogni vita umana.

Al di fuori dell’occidente, le minacce alla libertà fondamentale sono anche più gravi. Mentre la Santa Sede, nel nome del realismo, sembra preferire lo scambio della terra Ucraina per la pace con la Russia, questo accordo non ancora raggiunto è comunque migliore di un accordo segreto e concluso – quale quello con il governo cinese. Come il silenzio e la complicità con il regime comunista danneggiarono il mio paese, e facilitarono al governo d’imprigionare i dissidenti, il silenzio della Chiesa di fronte agli abusi dei diritti umani da parte della Cina comunista danneggia i cattolici della Cina. Nina Shea, ricercatrice dell’Hudson Institute, ha documentato come otto vescovi cattolici in Cina siano probabilmente detenuti a tempo indeterminato e in assenza di processo. Sappiamo che il grande cardinale Joseph Zen è stato arrestato e che si trova ora sotto controllo e monitoraggio da parte dello stato. Jimmy Lai, convertito al cattolicesimo e proprietario di un giornale, è stato detenuto in isolamento a Hong Kong per più di tre anni.

Vaclav Havel, con il quale ho una volta condiviso una cella, scrisse che l’unico modo per combattere un regime totalitario è per ciascuno di noi avere il coraggio di scegliere di vivere la verità nelle nostre stesse vite, a prescindere dalle conseguenze. Oggi ci troviamo ancora ad affrontare dittature e ideologie totalitarie. Ancora una volta, individui coraggiosi stanno pagando il prezzo per esservisi opposti. Rinvigorita da tali moderne testimonianze, note o ignote, la diplomazia vaticana deve riguadagnare e alzare la propria voce per unirsi a loro nella difesa della persona umana e nella difesa del Vangelo. Ancora una volta, è arrivato il tempo del coraggio.

*L’autore è cardinale arcivescovo emerito di Praga. Teologo, è entrato nell’Ordine dei frati predicatori (Domenicani) nel 1969. Ha guidato la diocesi boema dal 2010 al 2022.

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