Tutte le sfortune di Deschamps (che nessuno vuole raccontare)

Due autogol e un rigore per volare ai quarti: la stampa e l’opinione pubblica lo continuano a chiamare “Didì la chance”. Lui accetta l’etichetta, da 12 anni continua a far performare la Francia ai massimi livelli. E trofei alla mano, fin qui ha raccolto meno di quanto seminato

Diamine, ci risiamo. Francia ai quarti di finale dell’Europeo, di cortissimo muso: soltanto due autoreti e un rigore segnato. Nella storia della competizione mai era successo che una squadra arrivasse tanto in là senza aver realizzato nemmeno un gol su azione. È toccato a quella di Didier Deschamps. Mais naturellement! Il generale fortunato, “Didì la chance”. O come più si divertono a chiamarlo i francesi – al di là delle Alpi il fattore C diventa organo femminile – “la chatte à Dédé”. L’uomo che fece il patto con la buona sorte. Fino a vincere tutto da calciatore. E a rivincere tutto o quasi – manca appunto l’alloro continentale – da allenatore.

Certo il cammino dei Bleus in Germania, finora, si presta alla narrativa. “È un’etichetta che mi disturba? Niente affatto”, Deschamps rispondeva ai giornalisti il 13 giugno, quando il torneo doveva ancora cominciare (ma qualcuno evidentemente non ha saputo resistere). “Il concetto può avere una connotazione dispregiativa, oppure riassumere il mio lavoro e quello del mio staff come semplice fortuna”. Il ct ragiona da statistico. “Mi piace partire da un presupposto: se un episodio propizio accade una volta, viene da scomodare il caso; se poi accade di nuovo, le probabilità sono via via minori. A meno che non si tratti di qualcos’altro. Ma va bene, la prendo con filosofia. Purché la chance mi accompagni ancora a lungo”.

La lista degli “episodi propizi” esiste e non è breve. Sorteggi benevoli, grandi exploit di insospettabili protagonisti: il gol della vita di Pavard, che nel 2018 contro l’Argentina nemmeno doveva giocare; oppure l’unica doppietta in carriera di Mamadou Sakho, che portò i transalpini al Mondiale precedente e fece decollare la gestione Deschamps (ma quando oggi succede a Demiral, a Montella, alla Turchia, è solo impresa sportiva: amen). La Francia di Didì è stata anche la prima e sola formazione a beneficiare di un autogol in finale di Coppa del Mondo. Nell’edizione successiva ha pure ringraziato il peggior rigore mai partito dal piede educato di Harry Kane. In generale, spesso ha esultato senza sprigionare un gran bel gioco. Soltanto un calcio molto efficace.

Manca però il resto della storia. E cioè che Deschamps accetta la chiamata dei Bleus nel 2012, forse il periodo tecnico più buio del calcio francese.

Da allora ha vinto 101 partite, perdendone soltanto 24 (oltre la metà in amichevole). Ha dato piena fiducia a una nuova generazione, che s’è rivelata d’oro e straripante di talento. Ma perché Ancelotti al Real è considerato un magnifico gestore e lui no? Forse è antipatico, risposta razionale non c’è. E veniamo alla suddetta fortuna. Deschamps alla guida della Nazionale ha vinto un solo grande trofeo: il Mondiale in Russia, “meglio di Napoleone”, dominando la finale. È andato a un soffio dal bis in Qatar, perdendo ai rigori (quello sì, un terno al lotto). È uscito ai rigori anche allo scorso Europeo. Mentre quello disputato in casa, il grande rimpianto del 2016, gli è sfuggito per questione di porte girevoli: palo di Gignac al 90’, castigo dell’imprevedibile Eder ai supplementari. “Abbiamo perso un’occasione irripetibile”, ammetterà l’allenatore. Venerdì può prendersi la rivincita contro il Portogallo. E tutto sommato, con la chance è perfino in credito.

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