Dietro ai dazi dell’Ue sulle auto elettriche c’è la battaglia geoeconomica sulla Cina

La Commissione europea ha confermato l’introduzione di dazi provvisori contro i veicoli elettrici importati dalla Cina, ma ha anche aperto a una soluzione negoziale nel momento in cui aumenta la pressione della Germania su Ursula von der Leyen per evitare una guerra commerciale con Pechino. “Quello che vuole l’Unione europea è una soluzione, non l’introduzione di dazi”, ha spiegato il portavoce della Commissione, Eric Mamer, in un cambio di tono rispetto alle dure dichiarazioni di giugno, quando l’esecutivo comunitario aveva comunicato l’intenzione di reagire ai sussidi cinesi per i loro produttori di auto elettriche. L’ammontare dei dazi provvisori è stato rivisto leggermente al ribasso, rispetto al preannuncio di un mese fa. Dentro la Commissione si ritiene che ci siano stati progressi nelle discussioni tecniche con le autorità di Pechino. Secondo il portavoce, è “positivo” che dalla Cina arrivino messaggi di apertura e dialogo. “C’è ancora una finestra di quattro mesi prima dell’arbitrato, e speriamo che la parte europea e quella cinese si muovano nella stessa direzione”, ha detto il ministero del Commercio di Pechino. La decisione se applicare in modo definitivo i dazi sarà presa entro il 4 novembre, dopo un voto a maggioranza qualificata degli stati membri al Consiglio. Nei prossimi quattro mesi dentro l’Ue si giocherà la battaglia su come schierarsi nel conflitto geoeconomico che contrappone gli Stati Uniti alla Cina.

Nella decisione sui dazi compensativi la Commissione ha analizzato in dettaglio il sistema dei sussidi concessi dalla Cina, dalla dottrina dell’economia di mercato socialista ai diversi piani quinquennali per dare priorità al green tech, fino alle singole decisioni adottate a favore dei produttori. Nell’indagine avviata lo scorso ottobre sono stati individuati sussidi che vengono concessi da tutti i livelli di governo (dal governo centrale alle autorità locali), a tutta la catena del valore dei veicoli elettrici (dall’estrazione del litio per le batterie ai porti europei), con ogni strumento possibile (dagli aiuti diretti alla concessione di terreni a basso costo). La Commissione ha concluso che i produttori di veicoli elettrici in Cina “beneficiano pesantemente di sussidi ingiusti” e che “l’afflusso di importazioni cinesi sovvenzionate a prezzi artificialmente bassi rappresenta quindi una minaccia di pregiudizio chiaramente prevedibile e imminente per l’industria dell’Ue”. Dal 2020 al 2023, la quota di mercato dei costruttori europei è scesa dal 68,9 al 59,9 per cento, mentre le importazioni cinesi sono salite dal 3,9 al 25 per cento. Senza i dazi, 2,5 milioni di posti di lavoro diretti e 10,3 milioni di indiretti sarebbero a rischio. Il livello dei dazi è stato fissato sulla base dei sussidi ricevuti dai gruppi cinesi coinvolti direttamente nell’indagine: 17,4 per cento per Byd, 19,9 per cento per Geely, 37,6 per cento per Saic. Gli altri produttori che hanno cooperato rispondendo ai questionari della Commissione si vedono imporre un dazio del 20,8 per cento, quelli che non hanno cooperato del 37,6 per cento. I dazi decisi oggi si sommano al 10 per cento applicato a tutti i veicoli elettrici importati nell’Ue. La Commissione ritiene che non ci sarà un impatto sproporzionato sui consumatori in termini di prezzi, perché i produttori cinesi assorbiranno una parte dei dazi. 

La conferma dei dazi definitivi a novembre non è scontata. La Germania e diversi paesi nordici hanno criticato la Commissione. Il cancelliere tedesco, Olaf Scholz, si è espresso pubblicamente contro. I produttori di auto tedeschi temono che Pechino applichi dazi di rappresaglia sulle loro auto di lusso. Berlino sta facendo pressioni sulla Commissione per trovare una soluzione negoziata, o almeno abbassare in modo considerevole i dazi compensativi. Secondo Handelsblatt, Scholz spinge affinché Ue e Cina concordino un dazio uniforme del 15 per cento sulle importazioni di auto. Dopo la sua conferma per un secondo mandato, la presidente della Commissione, Ursula von der Leyen, sarà meno sensibile agli argomenti di Francia e paesi del sud a favore dei dazi. Alcuni stati membri, come l’Italia, sperano che i produttori cinesi investano in impianti di produzione in Europa. Anche gli Stati Uniti stanno facendo pressioni sulla Commissione. Agli occhi dell’Amministrazione Biden, la concorrenza sleale della Cina sul green tech mette a rischio non solo l’industria occidentale, ma anche la tenuta sociale e politica. E, nonostante alcuni progressi, la Commissione non sta usando appieno gli strumenti che ha a disposizione per arginare la minaccia cinese.

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