Non c’è da essere trionfalistici sul Pnrr

Un obiettivo non raggiunto, una spesa che non va e molta polvere sotto il tappeto

È una buona notizia che la commissione Ue abbia dato il via libera al pagamento della quinta rata per 11 miliardi anziché i 10,6 previsti. Dietro la retorica sui “primati europei” con cui ormai la premier Meloni e il ministro Fitto innaffiano qualunque evento legato al Pnrr, i fatti interessanti sono due.

Il primo è che la quinta e la sesta rata (scadenza 30 giugno 2024, richiesta di pagamento già partita) sono le più basse delle dieci rate del Pnrr, 11 e 9,2 miliardi per un totale di 20,2 miliardi, a fronte dei 29 che avremmo incassato senza la revisione del Pnrr. La revisione del Pnrr è servita a questo: a spostare in avanti obiettivi per evitare bocciature sulle singole rate. Ci troviamo così che la decima rata, quella del 30 giugno 2026, contempla 173 obiettivi per 28,5 miliardi contro i 120 obiettivi per 18,1 miliardi previsti in origine. Questo pesa sui conti pubblici e il 2024 è l’anno che paga il prezzo più alto con 8 miliardi in meno.

Il secondo fatto – piuttosto allarmante – è che per la prima volta il governo ha dovuto rinunciare a un obiettivo presente in una rata, non per effetto della revisione o degli spostamenti concordati, ma perché non lo ha raggiunto. Fitto ha spiegato che questo è frutto di un accordo con la commissione e nasce da un fatto tecnico di modalità di misurazione.

Nelle 166 pagine del rapporto della commissione non si parla di accordo. Anche gli incontri con gli ispettori di Bruxelles non furono affatto improntati a sintonia sul tema. Sono due anni che Roma e Bruxelles litigano sulla riforma degli appalti e anche la quarta rata fu bloccata mesi per la scarsa concorrenza negli appalti. Allora si sistemò con una circolare di Salvini, oggi no. Lo specifico obiettivo mancato oggi – la riduzione del 10 per cento dei tempi intercorrenti fra firma del contratto e avvio dei lavori – è quello cui aveva dato una energica risposta Draghi quando, con il decreto Pnrr del luglio 2021, aveva imposto che non potessero passare più di due mesi fra l’uno e l’altro momento, con sanzioni ai funzionari che non erano riusciti a centrare l’obiettivo. Proprio il classico caso dei tempi morti dell’amministrazione.

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