La battaglia del buon senso di Starmer contro quel che resta della sbornia brexitara

Il Regno Unito arriva al voto – domani, 4 luglio – dopo una campagna elettorale molto rapida e poco vistosa soprattutto per quel che riguarda il leader del Labour, Keir Starmer, che secondo i sondaggi è destinato a diventare il prossimo primo ministro britannico. Un esempio: Starmer, che è un uomo cauto che, dicono, si tiene brillantezza, battute e perfidie per quando è lontano dal palco, ha detto che al venerdì sera, se sarà possibile, vorrà tornare a casa e passare del tempo con i suoi figli (che sono adolescenti e che presumibilmente tra poco al venerdì sera avranno altro da fare che stare a cena a casa) e staccarsi dal lavoro. Apriti cielo, Starmer non ha idea di che cosa siano la dedizione, la reperibilità, la mole di lavoro e di attenzione e di presenza necessarie per fare questo mestiere, hanno detto i conservatori, l’ennesima dimostrazione che il leader del Labour non è fit per fare il premier, anzi a fine giornata Starmer era già una minaccia per la sicurezza.

Ci sono state parecchie discussioni di questo tenore nelle settimane di campagna: Starmer vuole mostrare che non soltanto lui è portatore di buon senso, ma che è esattamente questo ciò di cui ha bisogno il paese dopo anni turbolenti scanditi da idee fantasiose e impraticabili e litigi. Guardando quel che avviene fuori dal Regno, in un ribaltamento della prospettiva impiantata dal voto sulla Brexit, il buon senso sembra diventata un’esclusiva britannica.

Starmer non insiste sul caos fuori dai confini del suo paese, non ha commentato la crisi che attraversa il Partito democratico americano (con cui il Labour ha molti contatti e connessioni, anche nei metodi elettorali) dopo il dibattito fallimentare di Joe Biden e commentando quel che accade dall’altra parte della Manica, nella Francia che negli ultimi sette anni si è posta come il cuore dell’europeismo cui il Regno aveva rinunciato, ha detto: la lezione principale che ci viene dall’ascesa del Rassemblement national è che molti elettori sentono che “s’è rotto tutto, nulla può essere aggiustato”. Starmer ha poi continuato con il suo confronto, calandolo nella realtà politica britannica: “C’è un senso di  sfiducia in politica perché molte promesse sono state fatte negli ultimi quattordici anni che poi non sono state mantenute. Dobbiamo affrontare questa cosa e ribaltarla”, ha detto. Il leader del Labour si pone come aggiustatore di quel che si è rotto nel Regno e si rivolge a quella maggioranza degli inglesi che, secondo una rilevazione di Savanta della scorsa settimana, sono molto preoccupati dall’avanzata dell’estrema destra in Europa.

In realtà questa avanzata, seppure in forma molto più ridotta perché il Regno Unito ha fatto già un giro completo di nazionalismo e sembra che sia a posto così, c’è anche nella sua forma inglese. E’ condotta da Nigel Farage, leader di Reform Uk, che ha la capacità di attrarre gran parte dell’attenzione mediatica pur se manderà ai Comuni una manciata di deputati. Farage rappresenta una minaccia in particolare per il Partito conservatore, visto che punta a fare come Marine Le Pen in Francia e mangiarsi tutti i partiti di destra attorno – il Rassemblement national ha inglobato una piccola parte ribelle dei Républicains, spolpando ancora un pochino il fronte gollista  – ma è anche il rappresentante di un progetto antisistemico che non è certo abbandonato. Lui e il suo partito sono in mezzo a uno scandalo al giorno – con conseguenti titoloni – che riguardano il putinismo, l’antieuropeismo e il trumpismo di Farage. L’ultimo in realtà è un po’ più specifico: un candidato alle elezioni ha dato di “brutta stronza” alla presidente della Bce Christine Lagarde, ha detto che vorrebbe “sparare un colpo” all’ex leader scozzese Nicola Sturgeon e in questa invettiva anti donne se l’è presa anche con un’altra “stronza”, la scrittrice J. K. Rowling, che pure è tendenzialmente molto amata a destra (soprattutto da quando ha detto che non voterà per il Labour che è troppo ambiguo sulla definizione di donna e uomo). A parte quest’ultimo delirio, Farage e il suo consenso – in alcuni sondaggi, supera nel consenso nazionale i Tory, anche se  questo non vuol dire molto dal punto di vista dei deputati eletti – sono il campanello d’allarme cui i portatori di buon senso sono sempre sensibili: per riportare la politica verso idee battagliere e moderate non basta una sbornia colossale come quella della Brexit.

L’ossessione per Farage ribadisce anche il fatto che la moderazione è diventata nella percezione degli elettori sinonimo di noia. Questa è forse la preoccupazione maggiore del Labour, perché si mischia ad altri due fattori:  i sondaggi da molto tempo a grandissimo favore (ieri è stato pubblicato il meno bello, che mostra un distacco dai Tory di 19 punti percentuali) scoraggiano la mobilitazione perché l’esito sembra scontato; i conservatori continuano a dire che è necessario scongiurare “la supermaggioranza” del  Labour, sperando di portare ai seggi più persone e deformando le aspettative di tutti, ché se poi la supermaggioranza non ci sarà (è necessario uno swing di elettori enorme per determinarla) sembrerà che il Labour abbia vinto un po’ meno. Starmer ripete indefesso: se volete il cambiamento dovete andarlo a votare. Vale anche per il buon senso.
 

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