I democratici nel caos fanno i nomi dei possibili sostituti di Biden, che resiste

"Panico”, dice la copertina di Time magazine, con un Joe Biden che esce dall’inquadratura, con il suo passo lento che abbiamo visto anche quando si avvicinava al suo posto per il dibattito di giovedì scorso ad Atlanta. Il confronto con il candidato Donald Trump è andato male, malissimo. Il presidente ottantunenne ha dimostrato gli anni che ha e l’establishment democratico è andato, appunto, nel panico. Dobbiamo pensare a un sostituto! Dobbiamo convincere Joe, o meglio sua moglie Jill, a lasciare la corsa elettorale! Dicono gli opinionisti, i giornali e anche gli elettori. E così tutti a fare liste di possibili personalità che, all’ultimo momento, potrebbero decidere di buttarsi nella campagna presidenziale più costosa della storia. I big del partito sondano, tirano giacchette, fanno telefonate, leggono i curricula: un casting da fare prima della convention democratica di fine agosto. Dall’altra parte c’è chi invece, la first lady Jill in testa, cerca in ogni modo di dire: il dibattito in realtà l’ha vinto Biden, perché Trump ha detto solo bugie. Uno di questi è il senatore John Fetterman, della Pennsylvania, che va a Capitol Hill in felpa e pantaloni corti, grande amico di Israele. Altri invece, almeno pubblicamente stanno zitti. Altri pensano: “E se lo sostituissi io?”. Dentro il partito “la temperatura è alta”, ha detto un governatore democratico anonimamente: “C’è molta ansia”. Nessuno vuole rubare la scena o mettere Biden in ombra, sarebbe un prezzo troppo caro per la propria futura carriera politica, oltre che un modo per mostrare frammentazione interna, e quindi debolezza. 

Allora apparivano come dei rompiscatole, oggi sembrano quasi saggi quelli che avevano provato a criticare o sfidare Biden dicendo, già nel 2023, “è troppo vecchio, non ce la farà”. Erano state delle primarie inutili quelle contro Dean Phillips, il presidente alla fine aveva ottenuto il 98,9 per cento dei delegati e l’87 per cento del voto popolare. Volto leonino, cinquantacinque anni, deputato del Minnesota ed ex ceo dell’azienda di famiglia – producevano la vodka Belvedere prima di venderla al francese Arnault – Phillips diceva: Biden “è un presidente molto competente, di successo, e lo ammiro davvero molto. E se avesse 15 o 20 anni in meno non ci sarebbe storia, dovrebbe essere lui il candidato. Ma considerata la sua età è assurdo che non venga promossa una competizione, al contrario, si cerca di soffocarla”. Oggi questa competizione, a porte chiuse, viene fatta, come nel dietro le quinte di un reality, dalle stesse persone che secondo Phillips hanno cercato per mesi di soffocarla. E anche il deputato torna negli schemini dei kingmaker. 

Ma oltre il suo chi sono i nomi che si fanno tra gli uffici di Capitol Hill e i salotti di Camp David? Il primo, che si fa da tempo, è quello del governatore della California Gavin Newsom, che i bookmaker danno in testa come possibile rimpiazzo. Si sa che Newsom, 56 anni, aspetto presidenziale, kennediano, bravo a gestire le varie anime del partito, aspetterebbe volentieri il 2028, o così dicono le persone vicine a lui. Aveva anche sfidato Ron DeSantis, papabile sostituto di Trump, in un dibattito che poteva chiamarsi “scontro tra due che potrebbero essere presidenti se la generazione prima fosse andata in pensione”. Newsom dice, da sempre, che lui aiuterà Biden a essere eletto. “Concentratevi sulle idee, non sull’età”, ha detto dopo il dibattito di Atlanta. “Dobbiamo esser dalla sua parte”, ha continuato Newsom ricordando la forza di Biden su temi come l’Ucraina, e sulla sua capacità di trovare soluzioni bipartisan. 

La scelta naturale e anche quella che lei si aspetta è quella della vicepresidente Kamala Harris: se Biden domani si dimettesse dalla Casa Bianca, lei automaticamente diventerebbe presidente. Ma Harris non è amata da troppe persone alla Casa Bianca, e anche l’elettorato non ha mai dimostrato di apprezzarla: è il nome necessario forse, ma non è quello considerato vincente. Chi invece è da tempo in una fase di luna di miele con l’elettorato è la governatrice di uno stato chiave come il Michigan, Gretchen Whitmer. 52 anni, Big Gretch era nella shortlist dei vicepresidenti nel 2020, e l’altra sera dopo il dibattito ha chiamato gli uomini del presidente dicendo: “Non mi piace che il mio nome venga tirato fuori, così a caso, come possibile rimpiazzo”. Pubblicamente, come Newsom, ha detto che sosterrà Biden fino alla fine, “al cento percento nella lotta per sconfiggere Trump. E Biden vincerà il Michigan, perché ha le ricette per farlo”. Un advisor del presidente, che ha parlato con Politico, ha detto che i governatori “adorerebbero tutti uno scatto facile” verso la presidenza, ma non riuscirebbero mai a superare Kamala Harris. “E poi nessuno di loro è davvero pronto, soprattutto lei”, Gretchen. Un conto è essere amati a livello locale, un altro è trovarsi in una competizione nazionale con Trump, per lo più dopo tutti questi provini e tante divisioni. 

Il passaggio da governatore a Pennsylvania Avenue si è ripetuto moltissime volte nella storia recente, da Ronald Reagan a Bill Clinton, e infatti nelle liste pazze che girano c’è il primo cittadino del Maryland, Wes Moore, quello della Pennsylvania, Josh Shapiro e quello dell’Illinois, J B Pritzker. 

Shapiro, dopo il dibattito ha detto: “Smettete di preoccuparvi e iniziate a lavorare, Trump è una minaccia. Queste elezioni sono un referendum su di noi come popolo, se ancora abbiamo a cuore o no la libertà”. 59 anni, ricco – famiglia proprietaria degli hotel Hyatt – J B Pritzker sta giocando il proprio successo sul grande tema progressista: l’aborto nell’epoca del ribaltamento di Roe vs Wade. Ha dichiarato il suo stato un “santuario” per le donne. Come Gretchen è anche molto attivo contro l’accesso alle armi da fuoco. Come gli altri il miliardario Pritzker è stato un importante supporter di Biden, un surrogato nei comizi dove non ha paura di attaccare Trump con energia dandogli del truffatore, del criminale, dell’omofobo e del razzista. Ha definito l’ex presidente un “vecchio che si copre di autoabbronzante arancione e che si addormenta ai suoi processi”. 

Fuori dal club dei governatori si parla anche di Pete Buttigieg, 42enne, veterano dell’Afghanistan, wunderkind del partito, omosessuale,  anche lui fedelissimo a Biden che lo scelse come segretario ai Trasporti.Dopo il dibattito ha detto: non è stato il massimo. Ma quando gli hanno chiesto se Biden dovrebbe farsi da parte si è quasi risentito: “Joe è il nostro candidato e il nostro presidente perché è la persona migliore per portare avanti questo paese”. 

Mentre i giornali locali si divertono a spingere i propri politici – “Inserire nome: potenziale candidato per sostituire Biden” – la moglie Jill e la sorella Valerie  non sembrano voler mollare la corsa. E tutti i democratici che contano fanno scudo intorno al presidente. Le liste che girano, infinite, con dentro plurisettantenni come il senatore Sherrod Brown diventano inutili, tutte basate su speculazioni. La convention che si terrà il 19 agosto a Chicago non avrebbe la forza di togliere la nomination a Biden, sarebbe necessario convincere migliaia di delegati, ottenuti con le primarie, ad andare contro le regole del partito e puntare su qualcun altro. A meno di cause naturali, l’unica necessità di un rimpiazzo si creerebbe con un ritiro volontario del vecchio Joe. Se Biden decidesse di farlo, i delegati verrebbero “liberati”, e quindi non è detto che punterebbero tutti sullo stesso nome. Così congegnata la convention di Chicago  diventerebbe il palco della crisi di un partito che Biden è riuscito a tenere unito fino a ora

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