Così il Green deal condanna l’Italia a perseguire obiettivi irraggiungibili

Il nuovo piano energetico (Pniec) inviato lunedì dal governo italiano a Bruxelles si apre con una premessa interessante. Gli obbiettivi del precedente piano non sono stati realizzati perché chiaramente irrealistici. Cosa detta da tempo dagli osservatori più esperti. Dopodiché i nuovi obbiettivi stabiliti per il 2030 sono altrettanto e forse ancor più chiaramente irrealizzabili. Non alcuni, ma tutti. La triade che guida il percorso è costituita da tre pilastri. Rinnovabili, efficienza , elettrificazione.  Ottimo. Solo che gli  obbiettivi quantitativi previsti sono fuori da ogni ragionevole prospettiva.

  

Un paio di esempi tanto per chiarire. L’obbiettivo dell’elettrificazione del trasporto imporrebbe che da qui al 2030 immatricolassimo in Italia 1 milione di auto elettriche all’anno. L’anno scorso sono state all’incirca 50.000. Un ventesimo. La quota di rinnovabili sui consumi finali di energia dovrebbe raddoppiare in 6 anni. I consumi di energia primaria dovrebbero scendere del 30 per cento in 6 anni. Ipotesi possibile solo se si manifestasse una crisi tipo ’29 accompagnata da una pandemia di alcuni anni.

 

Quindi più che contestare cifre chiaramente fuori da ragionevoli prospettive vale la pena cercare di capire come sia possibile che persone del tutto ragionevoli ed esperte che siedono nei ministeri e nei centri di ricerca pubblici possano produrre cifre tanto lunari. Purtroppo la spiegazione è molto semplice: ce lo chiede l’Europa. Infatti il Pniec è il tentativo disperato di far quadrare i conti energetici italiani con gli obbiettivi europei. Quindi la domanda diventa: “E’ possibile che a Bruxelles nessuno si sia reso conto che gli obbiettivi decisi in quella  sede non fossero tecnicamente realizzabili?”. Quando dico tecnicamente irrealizzabili, intendo dire che nemmeno se ci fosse un governo formato solo da Bonelli e Fratoianni e che avesse a disposizione risorse pressoché illimitate si riuscirebbero a forzare limiti tecnici insuperabili. E sono sicuro che il problema non riguarda solo l’Italia. Ma questa è la storia di come è stato costruito il Green deal nella scorsa legislatura europea, con il risultato, fra l’altro, di avere ringalluzzito tutte le destre sovraniste. 

Il problema è però anche di tipo cognitivo. Una specie di distopia collettiva che ci fa credere, parlare e commentare un mondo che non esiste e che condanna il Green deal a fallire per evidente contrasto con la realtà dei fatti.  Buona parte dell’attenzione degli osservatori è stata invece rivolta alla previsione che nell’arco di una ventina d’anni l’Italia possa disporre di produzione nucleare. Notizia che ha naturalmente sollevato le proteste degli ambientalisti che continuano a volere decarbonizzare il mondo con i pannelli solari e le pale eoliche.

 

Ma c’è un altro dato che sfugge ai nostri. L’Italia dipende e dipenderà strutturalmente per decenni dalla Francia non solo per l’importazione di energia (nucleare) che l’anno scorso ha raggiunto il record storico ma anche per la “copertura del carico” come scrive Terna nel suo rapporto sull’adeguatezza del sistema elettrico italiano. Ciò significa che se venisse a mancare la disponibilità delle centrali nucleari francesi rischieremmo il black out. Cosa che, pochi sanno, abbiamo rischiato nel luglio del ‘22 per alcuni giorni, quando a causa del caldo e della siccità siamo arrivati a riserva di potenza pari a zero. Una situazione inaudita e fuori norma. Venti anni prima era di circa il 20 per cento. Ma fino a quando non si deciderà di fare conti realistici basati sulle tecnologie e le risorse disponibili, compreso il tempo, continueremo a vivere in un mondo immaginario. Noi, in Italia e in Europa. Gli altri intanto vanno per la loro strada.

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