L’unità del centrosinistra sotto il cielo sopra Bologna

“Canzone / trovala se puoi /  Va per le strade tra la gente…” (da “Canzone”, Lucio Dalla)

Bologna. Ci vorrebbe la famosa “Canzone” di Lucio Dalla per andare a trovare e a scovare tutti i ritrosi e i dubbiosi del campo non meloniano, e per portarli sotto le volte della piazza intitolata all’artista e nume tutelare della città, in nome dell’amore per quel “Noi siamo Costituzione” evocato nella giornata conclusiva della festa Anpi. Tema: unità contro la destra e in nome del no al premierato e all’autonomia.

Svolgimento: ci sono tutti, sul palco, tranne il leader di Azione Carlo Calenda e l’ex premier e fondatore di Italia Viva Matteo Renzi. Ed è così che, il giorno dopo, 2 luglio, resta traccia della sera prima, 1 luglio, nel mezzo sì e mezzo no (“no al Fronte Popolare alla francese, sì a un’intesa su scuola, sanità e salari”) pronunciato in un’intervista a Repubblica proprio da Calenda, l’assente un po’ criticato e un po’ blandito – assieme a Renzi, che però è nominato dagli astanti il meno possibile – durante l’incontro-evento che si voleva fortissimamente unitario.

E quasi tutto il centrosinistra in effetti c’era, sul palco, dalla segretaria pd Elly Schlein (che giocava in casa, dietro alla Bolognina) al leader del M5s Giuseppe Conte al segretario di Più Europa Riccardo Magi ai vertici di Avs Nicola Fratoianni e Angelo Bonelli al segretario di Rifondazione Maurizio Acerbo – tutti pronti al referendum abrogativo sull’autonomia differenziata, come il 18 giugno scorso a Roma, ma su invito del presidente Anpi Gianfranco Pagliarulo, l’uomo che qualcuno tra il pubblico vorrebbe addirittura federatore. “Magari scrivesse lui il programma”, dice una signora applaudendo e apprendendo che sì, Pagliarulo aveva cercato anche Renzi e Calenda, ma il primo non aveva risposto e il secondo gli aveva fatto rispondere dalla segretaria, che aveva sottolineato comunque l’interessamento calendiano per i temi del dibattito, pur senza presenza fisica sotto le volte in penombra dell’ex mercato ortofrutticolo poi ribattezzato “Piazza Lucio Dalla”, nome che rende orgogliosa la città del Mulino e di Romano Prodi, colui che per uno squarcio di tempo lungo qualche anno è riuscito a unire sotto la stessa insegna, l’Ulivo, i litigiosi irriducibili rossi e bianchi. Ma oggi tocca guardare alla Francia che si oppone ai lepenisti, anche se non a tutti aggrada il paragone (prima recuperiamo chi non ci vota più, dice il leader di Azione). 

E però, la sera prima, l’entusiasmo degli esordi – dei nuovi sperati esordi – c’è, pur venato da scoramento per il quadro internazionale. Si ascolta, si canta (“Bella ciao” in versione andina), ci si accalca per la stretta di mano con Conte (“l’hai mai visto dal vivo? Io a ottant’anni non me l’ero mai trovato davanti”, dice un signore a un amico, avvicinandosi al leader m5s che ha evidentemente molti fan nella città di Schlein), e ci si accomoda sotto al palco sulle note di Francesco De Gregori. “Adelante, adelante, c’è un uomo al volante, ha due occhi che sembra un diavolo”, dice la canzone, ma Conte più che un diavolo pare un cantante appena uscito dal Festival di Sanremo, circondato da gente che vuole l’autografo. “Che cosa gli ha detto la signora con la giacca rossa?”, chiede una spettatrice, e chissà, pare di carpire resoconti su qualcuno che ha perso il lavoro. Ma arriva Schlein, e l’onda mobile degli astanti si sposta verso l’altro ingresso, dove la segretaria pd, in armocromia turchina, saluta, sorride tra ali di fotografi, mentre già da qualche minuto si preparano Magi, Acerbo, Bonelli e Fratoianni, sotto la regia di Pagliarulo. 

“Bella ciao” arrangiata in stile Intillimani è finita, il presidente Anpi fa un altro appello alla non dispersione della sinistra in mille rivoli, la sera cala oltre le bandiere rosse delle brigate partigiane. Ma quelle sul palco a un certo punto cadono, e con gran fragore. “Il vento dell’unità democratica”, è il commento ironico-speranzoso che solleva applausi e qualche “sì, magari” in fondo, oltre gli stand, verso l’area riqualificata della città dove si vorrebbe oggi ricreare quello che viene rievocato come il gran miracolo prodiano. Ci aveva sperato, Bologna, pure ai tempi delle varie “unioni” e persino delle Sardine. Macché. “Dai che forse è la volta buona”, dice un’organizzatrice Anpi a un collega. Il dibattito sul palco prosegue, con diversi gradi di disposizione al compromesso. Non disposto al cento per cento sembra Conte, non ecumenico almeno quanto Fratoianni, e più spostato sul lessico antipatizzante verso la destra (più che rimuovere dirigenti, dice il leader m5s, Meloni dovrebbe “estirpare” la malapianta fascista dalle sezioni giovanili di FdI, e lo dice alla vigilia del giorno – ieri – in cui Meloni ha mandato una lettera ai dirigenti del suo partito: fuori chi vuole farci tornare indietro). 

Sul fondo della piazza, una bimba vestita di rosa sfreccia in monopattino lontano dal palco, inseguita da un’amica in bicicletta, e la fila ordinata davanti al banco delle piadine farcite si disperde per un attimo verso l’“Osteria partigiana” che sforna piatti da due ore. Sono le dieci di sera e l’aria s’è fatta fredda per il temporale che ha rotto l’azzurro del cielo sopra Bologna, tra gli zaini dei giovani e le giacche pesanti degli anziani, nella platea in cui le età di mezzo sembrano minoranza, rappresentate da pochi esemplari-panda, in piedi ai lati delle panchine. “Chissà che cosa avrebbe detto Dalla”, dice una signora ascoltando il repertorio unificatore su sanità, scuola e lavoro pronunciato da Schlein, al termine della serata iniziata con la foto di gruppo, forse citazione sommessa e allargata della famosa foto di Vasto (correva l’anno 2011 e sul palco comune c’erano Pierluigi Bersani, Nichi Vendola e Antonio Di Pietro). Gli interventi sono contingentati, dieci minuti a testa. E c’è molta voglia di trovare un federatore. E se qualcuno davvero ha pensato a Pagliarulo, in un gruppo di elettori pd venuti da Imola si racconta “la delusione per l’occasione mancata con Enrico Letta”, dice uno di loro, docente in pensione. A sua moglie invece piacerebbe Paolo Gentiloni. Una seconda coppia – concordi i coniugi, ex docenti come gli amici –  propende “per una donna che sia al di sopra dei partiti, tipo Emma Bonino ma meno collocata nell’area radicale”. Chi? “Eh, a saperlo”. “Perché non Paola Cortellesi? Il suo film ha unito tutti”, scherza un quinto amico. “Ci vorrebbe un altro Prodi, ma non ne fanno più”, sogna un avventore sull’altro lato della piazza, venuto ad ascoltare Bonelli e Fratoianni, che ha votato, dice, “ma anche Schlein, perché la ragazza ha stoffa”. Si sente comunque nell’aria, a tratti, la presenza occulta degli assenti Renzi e Calenda. “Potevano fare questo accordo alle Europee, ma oggi speravo di vederli qui”, si rammarica un ricercatore trentacinquenne, che vota Pd ma vorrebbe “un Pd che si allea con il terzo polo che è sfumato”. Il pubblico, però, alla festa Anpi, ha molti occhi per Avs, a parte i suddetti fan di Conte, quelli del codazzo pro-leader m5s sulle note di De Gregori e di “Bella ciao”.  Non pongo recinti, l’unità si fa con tutti”, dice Pagliarulo. Riecco il fantasma dei centristi assenti (e si sente pure qualche fischio). Si temono le nostalgie fasciste presso i giovani meloniani, ma pure l’astensionismo a sinistra.

Qualcuno vuole tornare al proporzionale, ma il tema è il no al premierato. Si cita Bartali, ci si vorrebbe muovere piano piano “per arrivare”. Conte sulla Costituzione da preservare così com’è pare meno granitico degli altri: si può anche discutere qualche aspetto, ma certo non così come fa la destra, è il concetto, e non con il Parlamento “ridotto a pletora di maggiordomi”. “Spiace che ancora oggi si festeggi il 2 giugno e non il 25 aprile – che dovrebbe essere festa di tutti”, dice Conte, evocando anche il “pestaggio” del deputato m5s Leonardo Donno, e chissà, forse qualcuno lo sentirà anche dalle parti della chat whatsapp e pagina Facebook che al 25 aprile è idealmente dedicata, ma sul lato dem e su impulso dell’editorialista di Repubblica ed ex direttore della Stampa Massimo Giannini. Fratoianni vorrebbe replicare il modello francese: “Sarà che sto invecchiando”, dice, cinquantunenne, “ma l’idea di mettersi insieme per battere questa brutta destra mi pare uno splendido programma politico”. S’indovina, tra il pubblico, l’apprezzamento per l’impostazione di Bonelli e Fratoianni su uno dei temi divisivi a sinistra: Gaza. Ma non è la serata per approfondire, si è qui per cercare convergenze. “Siamo abituati a dialogare, e il dialogo si costruisce a partire dalle differenze”, dice Magi. “Il modo migliore per difendere la Costituzione è farla vivere”, dice il segretario di Più Europa, alludendo alle “leggi elettorali incostituzionali”, al Parlamento “sepolto di decreti”, “alle carceri”, ai “diritti dei cittadini di promuovere referendum senza ostacoli insuperabili”, “al diritto d’asilo negato”, alla “concorrenza soffocata dal corporativismo”. Bonelli intanto critica il ministro dell’Interno Matteo Piantedosi, “che si preoccupa più delle piazze” che delle tendenze antisemite nell’ala giovanile di Fratelli d’Italia, quelli oggetto dell’inchiesta di Fanpage. Acerbo vorrebbe tornare ai tempi “dell’Italia che scioperava”, e annuncia la mobilitazione per il referendum contro il Jobs Act. E quando Schlein prende la parola, e in nome della sanità tradita parte l’applauso, si accendono le luci qui sul palco. Non è la notte prima degli esami di Antonello Venditti, d’altronde si è nella città di Dalla. E’ la notte in cui si vorrebbe cominciare a prepararsi all’esame che sarà tra qualche mese o anno, disegnando intanto il confine minimo attorno alla prima prova unitaria: scuola, salute, lavoro (e stavolta Calenda, anche se il giorno dopo, raccoglie).

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