La Romania per tornare grande si è riaffidata a Iordanescu e Hagi

Il figlio del grande attaccante e allenatore e quello del più forte calciatore rumeno della storia, sono potragonisti della Nazionale alla maniera dei padri. Trent’anni dopo Usa ’94

Al minuto 72 della finale di Coppa dei Campioni del 1986, al posto del centrocampista centrale Balan, Emerich Jenei decise di far entrare un attempato trentaseienne, leggenda della Steaua Bucarest, 155 gol all’attivo. C’era un solo problema: quel centravanti non giocava una partita da due anni. E non per colpa degli infortuni, o delle scelte tecniche. Quel centravanti aveva smesso nel 1984 ed era diventato il vice di Jenei. Anche grazie a quella mossa, pensata per irretire il Barcellona, la Steaua si era arrampicata fino ai rigori, fino alla notte più bella della sua storia. Quel vice allenatore, ex centravanti, mossa a sorpresa inimmaginabile nel calcio odierno, era Anghel Iordanescu. Otto anni più tardi avrebbe consegnato alla Romania la miglior versione della sua Nazionale, quella vista durante Usa 1994: l’eliminazione, maturata solo ai rigori, contro la Svezia nei quarti di finale del Mondiale, dopo aver eliminato l’Argentina demaradonizzata agli ottavi e aver già messo in archivio lo scalpo della Colombia durante i gironi, aveva avuto il sapore della beffa. Il sovrano incontrastato di quella Romania era, neanche a dirlo, Gheorghe Hagi, numero 10 per piedi e attitudine, genio e incostanza in esubero da poter donare a chi ne ha bisogno.

Trent’anni dopo, per riscoprire la Romania ad alti livelli, abbiamo dovuto attendere un altro Iordanescu e un altro Hagi: Edward, che nel 1994 di anni ne aveva 16, e Ianis, che per vedere la luce avrebbe dovuto attendere il 1998, qualche mese dopo che il padre, insieme a tutti i suoi compagni, si era tinto di un osceno biondo platino per festeggiare il passaggio agli ottavi di finale nel Mondiale francese. Edward e Ianis sono i figli di Angel e Gheorghe: nelle rispettive vesti, stanno giocando un ruolo importante nella rinascita rumena.

Il loro cammino non è stato semplice: Iordanescu sognava una carriera da calciatore ma ha dovuto fare i conti con un talento nettamente al di sotto del livello richiesto dal cognome che portava in giro per la Romania. E anche in panchina, dopo gli anni da assistente, ha dovuto prendere la rincorsa: ha allenato in terza e seconda serie prima di arrivare in Liga I, soffrendo e vincendo, riuscendo poi a prendere le redini della Nazionale nel gennaio 2022. “Essere all’Europeo per il popolo rumeno è già una festa, al momento della qualificazione abbiamo vissuto momenti unici. Abbiamo sempre sentito il loro supporto, sapevamo di arrivare qui e di poter generare altre emozioni, a patto di mantenere il solito approccio: si ragiona passo dopo passo, giorno per giorno, ora per ora. Tutti i miei giocatori sanno di dover dare il 200 per cento per andare avanti come gruppo”, ha dichiarato.

Il gol che aveva regalato alla Romania la qualificazione aritmetica a Euro 2024 l’aveva segnato Ianis, proprio come aveva fatto papà Gheorghe trent’anni prima con il gol-vittoria siglato a Cardiff per portare la nazionale a Usa 1994: il gol di Ianis è arrivato invece contro Israele. Una vita a dover combattere con la grandezza del talento del padre, quindi un infortunio che lo ha tenuto lontano dai campi per oltre un anno, da gennaio 2022 alla fine di gennaio 2023. Iordanescu lo sta dosando, utilizzandolo soprattutto a gara in corso, ma ha accettato di buon grado di concedergli la maglia numero 10, “quella” maglia numero 10. Con l’Olanda non sarà facile, ma i due figli d’arte vogliono sognare ancora.

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