Jan Oblak e Diogo Costa. Il destino di due portieri soli contro tutti

Portogallo-Slovenia è stata tutta bella, i suoi eroi sono stati i portieri. L’epopea dei calci di rigore a Euro 2024

Succede che guardare una partita di calcio come quella fra Portogallo e Slovenia consoli per poco più di un paio d’ore (supplementari compresi) dello stato del mondo. Il giorno dopo le cronache sportive, nostalgiche di epopea, si dedicano soprattutto a Cristiano Ronaldo, il ricco che piange, il rigore mancato (parato), il rigore segnato, lo sguardo devotamente alzato verso il cielo – a ridosso delle voci su una tentazione islamica.

La partita è stata tutta bella, i suoi eroi sono stati i portieri. Jan Oblak, il capitano sloveno, che ha fermato Ronaldo e portato i suoi ai supplementari. E Diogo Costa, che ha parato tre rigori su tre e gettato i valorosi sloveni nella disperazione. Avviandosi alla porta dove si sarebbero alternati per i rigori, i due si erano abbracciati e si erano detti qualcosa che somigliava a un augurio reciproco. Immagini memorabili a chi abbia avuto un’infanzia nutrita dall’Iliade e dalla leggenda di Giorgio Ghezzi. Grazie al quale conobbi quel nome, kamikaze, che suonò glorioso, ed era destinato a designare poi, sempre fuori contesto, la più trista delle imprese umane (l’altro giorno in Nigeria attentati suicidi hanno fatto strage in nome di Boko Haram, compiuti da giovani donne, forse già rapite e indottrinate, una delle quali si è fatta esplodere con la propria bambina sulla schiena).

Era ambigua la questione di stare in porta, quando ero piccolo, e forse lo è ancora. Si stava in porta o per vocazione, pochi, o per servizio, i più piccoli, “mettiti in porta e se no stai fuori, raccatta la palla”. Io ebbi, senza attitudine, un’attrazione per la porta grazie a Emilio De Martino, “Pufi. Storia di un cane sportivo”, illustrato da Libico Romano Maraja (nomi allarmanti), Baldini e Castoldi, 1948 – sei anni. Non diventai portiere, ma chiamai Pufi il nostro barboncino. I portieri antichi avevano un aspetto di uomini maturi anche a vent’anni, ed evitavano di buttarsi, di tuffarsi. Guido Masetti, che era stato portiere della Roma e fu il vero mentore di Ghezzi, era soprannominato “Er saracinesca”. Ghezzi “era bello e di gentile aspetto” (Gianni Brera), di temerarie uscite, di spericolati abbandoni della porta, e di conquiste donnesche – a gara con Buffon, Lorenzo, “Tenaglia”, oggi a Latisana, 94 anni – fu per un tempo il mio eroe, e solo molti anni dopo appresi che aveva avuto una madre maestra romagnola e un padre di nome Spartaco, non a caso, dal 1946 sindaco comunista di Cesenatico. E lui, quarant’anni dopo, candidato per il Pci, e soprattutto titolare del night intitolato, da Dario Fo, “Peccato veniale”.

Quando, già attempato, un cortile di galera mi autorizzò un tempo supplementare di calciatore, mi procurai in squadra un giovane portiere napoletano dalla presa sicura. Mi ero informato sui suoi precedenti: furti con destrezza.

La famosa lotteria dei rigori è eminentemente asimmetrica. Ogni calciatore ne tira uno. Ogni portiere ne para quanti occorre – as many as it takes. E’ il suo momento, non è più uno di undici, è solo contro tutti. Ci sono meno canzoni sui portieri, meno film. Li riscatta tutti “El Gato” Diaz, il portiere quarantenne del rigore più lungo del mondo di Osvaldo Soriano.

“Allora l’arbitro andò fino alla porta con la palla stretta contro un fianco, contò dodici passi e la sistemò a terra. El Gato Dìaz si era pettinato con la brillantina e la testa gli risplendeva come una pentola di alluminio”.

Nella malinconica diatriba successiva all’eliminazione dell’Italia, qualche autorità competente ha denunciato la diserzione di giocatori che, caso mai, si sarebbero rifiutati di tirare il rigore. Solo il portiere ne è uscito degno. Deve aver rimpianto di non aver avuto almeno la possibilità dei rigori.

Nino non avere paura di parare il calcio di rigore. Ne pari uno a Ronaldo. Ne pari tre di seguito ai migliori tiratori sloveni. Ciascuno a suo modo, non avranno dormito, la notte scorsa, Jan Oblak e Diogo Costa.

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