Il Tour de France secondo Colette

Sidonie-Gabrielle Colette, per brevità Colette o Colette Willy, è stata la prima donna inviata alla corsa a tappe francese. Vita, parole e racconti di una scrittrice che aveva il gusto della provocazione

Tour de France 1913. Il 27 luglio si corre la quindicesima e ultima tappa, la Dunkerque-Parigi di 340 chilometri. A Poissy, a una trentina di chilometri da Parigi, all’altezza di un passaggio a livello, una vettura attende i corridori: all’interno, l’autista e una donna. La donna è giornalista e scrittrice. Si chiama Sidonie-Gabrielle Colette, si firma Colette (in neretto) e Colette Willy (in corsivo), ha 40 anni e 24 giorni prima ha dato alla luce una bambina. È la prima inviata – collabora con il quotidiano “Le Matin” – a una grande corsa di ciclismo su strada. E, come il popolo, attende i corridori sul bordo della strada. Osserva, annusa, annota. Poi scrive.

La pagina: la prima, in apertura del giornale, in alto a sinistra. Il titolo, a tre colonne su sei: “La fin d’un Tour de France”. Il testo: a due colonne. L’attacco: “Fate spazio, buon Dio! Arrivano, arrivano!”. Nel pezzo Colette descrive quello che vede: “famiglie tranquille”, “ciclisti senza pretese in fasce”, “qualche ubriaco domenicale”. L’attesa: “Di quando in quando un adolescente sfreccia su due ruote, i panni al vento, gli occhi fuori dalle orbite, grida notizie drammatiche, inventate di sana pianta”. Il preludio: “La polvere bianca della strada si solleva, come la nuvola di vapore che nasconde, a teatro, uno spirito maligno”. La scena: una vettura urla “come la sirena di una nave perduta”, un’altra li sorpassa “con lo slancio temerario e ondulante di un pesce gigante”, mentre “un piccolo branco di ciclisti dalle labbra terrose, intravisti nella polvere, si aggrappano ai fianchi delle automobili, derapano, si schiantano”. I fuggitivi: “Ho visto passare davanti a noi, all’improvviso, tre corridori magri. Dorsi neri e gialli, il numero rosso, tre esseri che si direbbero senza volto, la schiena ad arco, la testa verso le ginocchia, sotto un copricapo bianco… Spariscono molto presto, restando soli nel tumulto; la loro fretta di correre avanti, il loro silenzio sembra isolarli da quello che succede intorno. Non si direbbe che lottino tra di loro, ma che fuggano da noi e che siano la selvaggina di questa scorta, dove si mescolano, nella polvere opaca, grida, colpi di clacson, evviva e rombi di folgori”. La folla: “cordiale, gioviale”. Gli spettatori: “Un omone, un po’ sbronzo, vuol testimoniare il suo entusiasmo, abbracciando uno degli automi neri e gialli, che viene rallentato: l’automa senza volto molla immediatamente, sul muso dell’omone, un pugno terribile, e rientra nella sua nuvola come un dio vendicato”. Il vincitore: “Avenue de la Reine, a Boulogne, “la folla, sempre più fitta, ha invaso il centro della strada e, nel suo zelo scomodo, si apre proprio davanti al vincitore, che ora alza la testa, mostra gli occhi esasperati e la bocca aperta, forse gridando con furia”. Non è tutto: “Vedo ancora, laggiù, molto lontano, dall’altro lato del circo, vedo alzarsi, abbassarsi, come le due bielle minuscole e infaticabili che bastano a provocare questa tempesta meccanica, le due gambe minute del vincitore”. Primo di tappa, al traguardo del Parco dei Principi, il francese Marcel Buysse; primo della generale, dopo 5.388 chilometri correndo le tappe un giorno sì e uno no, il belga Philippe Thys.

Colette – lo scrive Claudio Gregori in “Vagamondi” (66thand2nd) – “ha il gusto della provocazione”. Da ciclista: in una 100 chilometri, in un gruppo di 30 appassionati, compreso il primo marito, il giornalista Henry Gauthier-Villars, detto Willy. Da attrice: in un music-hall, in culotte, ha mostrato i seni nudi. Da donna: lei e Willy s’innamorano della stessa donna, la sposa di un milionario americano, e insieme vivono un incontro a tre in un appartamento parigino; e quell’appassionato bacio alla marchesa Mathilde de Morny che induce il prefetto di Parigi a chiudere il Moulin Rouge; infine sposando, è il secondo matrimonio, un altro giornalista, poi editore, senatore e ambasciatore, il barone Henry de Jouvenel, padre della neonata prima del Tour 1913. E Colette ha il gusto della provocazione anche da scrittrice: i suoi quattro romanzi su Claudine, pubblicati tra il 1900 e il 1903 e firmati Willy (solo più tardi le sarebbe stato concesso di scrivere in una rubrica battezzata “le journal de Colette”) fanno scalpore. “Claudine a scuola”, “Claudine a Parigi”, “Claudine sposata” e “Claudine se ne va” le assicurano il successo. Curiosa, intraprendente e audace, un anno prima di esordire al Tour de France Colette ha chiesto e ottenuto di scrivere di boxe: l’occasione, il Mondiale di pugilato, pesi medi, tra il francese Georges Carpentier (che vince ai punti) e l’americano Willie Lewis al Circo di Parigi.

Prima giornalista e scrittrice al Tour (la prima al Giro d’Italia sarebbe stata Anna Maria Ortese per “l’Europeo”), Colette è diventata anche la prima donna francese insignita di un funerale di Stato. Era il 1954, a Parigi, al Palazzo Reale, “una folla – su “Le Monde” – paziente, immensa, inaspettata, che calpestava in lunghe file il marciapiede”. Una folla degna del Tour de France.

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