Dove va Tim senza rete

Se dite a Pietro Labriola che ora, venduta la rete fissa agli americani di Kkr (specialisti nel ramo) e con una quota di partecipazione del ministero dell’economia, per mandare avanti la sua Tim bisognerà spingere a mille sui servizi digitali vi guarda un po’ con l’espressione di chi pensa “e grazie…” e un po’ con un lampo negli occhi. E’ chiaro che l’azienda ha avviato già il riposizionamento, per provare a spremere il molto competitivo settore dei servizi ad aziende e famiglie e vedremo presto una crescita notevole di nuove idee commerciali e di nuove proposte per trasformare il mercato. Con un punto di forza nel mantenimento di un predominio sulla rete mobile, sul cloud, sulla capacità di gestione dei dati, con i data center più potenti in questo momento in Italia, che sono gli assi su cui si fanno soldi. 

Ai quali va aggiunta la grande partita del 5G, che già da sola vale anche più, in termini prospettici, di ciò che ora si ricava dalla gestione della rete fissa. Il taglio sostanziale del debito per Tim è un passaggio storico, che segna una nuova fase e che permette di programmare investimenti sui settori in cui ora si concentrerà e, come detto, di mantenere una posizione di predominio in mercati anche più ricchi e attraenti di quello del traffico dati su rete fissa. Debito che ha pesato anche sulla fatica nella gestione e nello sviluppo della stessa rete. Ora a Tim vedono un futuro di sviluppo in servizi ad alto valore aggiunto anche grazie al miglioramento dell’efficienza e della capacità della rete portato proprio dai nuovi soci, il cui interesse è  nello sviluppo della loro infrastruttura. “Tutto il cartaceo delle aziende e delle amministrazione dovrà essere portato in rete”, ha detto Labriola al Tg5, facendo immaginare gli sviluppi  enormi della digitalizzazione e dell’affidamento dei dati a gestori in grado di garantirne la sicurezza e la possibilità di consultazione intelligente. Mentre, tornando ai nuovi equilibri determinati dalla cessione della rete, c’è da aggiungere che la visione di lungo termine portata da un grande fondo, con dotazione finanziaria impressionante, è  più coerente con i piani di crescita infrastrutturali rispetto a ciò che potrebbe fare e che ha potuto fare un’azienda con, come dire, i piedi in due scarpe e, in più, una zavorra finanziaria ereditata dal passato. C’è anche un piccolo miracolo politico, con la sparizione delle posizioni sovraniste, in base alle quali la vendita a un fondo americano sarebbe stata da osteggiare senza ritegno. E invece, per fortuna della Tim, tutta quella massa un po’ confusa di opposizioni ideologiche e politiche agli investimenti stranieri è sparita nelle retrovie della maggioranza e non ha avuto peso in questa complessa operazione. La parola ora passa ai clienti e agli investitori. I primi avranno tempo per valutare la qualità della nuova offerta di servizi, anche se si può immaginare una campagna serrata su tutti i nuovi prodotti, rafforzata anche dalla spinta che l’IA può dare quando la massa di dati è resa disponibile. Per capirci, IA più data center (e buon cloud) formano la squadra vincente. Gli investitori, i mercati, per prima cosa guarderanno al nuovo assetto finanziario di Tim, alla situazione del debito residuo e alle condizioni della sua gestibilità in base ai flussi di cassa attesi dalla nuova politica aziendale sui servizi a forte valore aggiunto. Il loro giudizio è libero e anche imperscrutabile, ma potrebbe esserci una differenza nella valutazione che faranno a caldo e in quella che faranno tra qualche tempo, quando i progetti di Labriola saranno stati messi alla prova dal mercato.

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