Ad Alessandro Piperno suggerirei di iniziare a giocare al gioco della sedia

L’aria pesante del mondo accademico e la “lotta di potere” per restare a galla. Lo stupidario ideologico circolante è l’accompagnamento musicale su cui conviene ballare per tenersi nei paraggi delle seggiole vacanti

Suggerire una metafora a uno scrittore di talento è un po’ come regalare un rossetto a una truccatrice professionista, un gesto tra il tracotante e l’invadente, ma ho deciso di prendermi ugualmente questo rischio. In una bella conversazione con Piero Vietti sull’ultimo numero di Tempi, Alessandro Piperno prova a darsi conto dell’aria pesante che si respira nella società letteraria e accademica per via della pressione di mode ideologiche tanto frivole quanto intimidatorie: “È l’ennesima lotta di potere. Ogni avanguardia rivoluzionaria punta al potere, nient’altro che a questo”. Parla dell’America, certo, ma anche un poco dell’Italia. Critica – con uno snobismo franco e spavaldo che è ormai una contromisura minima di profilassi spirituale – l’ostentato impegno degli “scrittori di terza categoria che cercano una scorciatoia per arrivare a un pubblico vasto e ingenuo”. E cita il maccartismo, l’eredità puritana, lo zelo dei funzionari fascisti o sovietici.

Io però vorrei proporgli un’altra metafora, più dimessa, per dire all’incirca la stessa cosa: il gioco della sedia. Sì, quello delle feste dei bambini. Ogni tot di tempo – difficile quantificarlo con l’unità di misura della generazione – la musica si ferma e ci si accapiglia per occupare le sedie vuote. In altre parole, si distribuiscono scranni e strapuntini nei vari comparti dell’industria culturale.

Ebbene, oggi il mondo vive uno di quei momenti, e lo stupidario ideologico circolante è l’accompagnamento musicale su cui conviene ballare per tenersi nei paraggi delle seggiole vacanti. Un domani molti sposteranno in seconda fila la bibliotechina di transfemminismo decoloniale e marxismo queer intersezionale come i nostri padri boomer hanno nascosto il libretto rosso di Mao e la “Guerra di guerriglia” tra i cimeli di una gioventù sciocca e vorace. Intanto, però, si saranno seduti lì dove volevano sedersi. Non sono avanguardie rivoluzionarie, sono carrieristi.

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