Dracula, l’eroe. Così l’estrema destra rumena l’ha rispolverato in campagna elettorale

C’è chi Vannacci, e c’è chi Dracula. Eh sì! Sono parecchi i personaggi singolari che queste elezioni europee hanno proiettato al Parlamento di Strasburgo. Fidias Panayiotou, ad esempio, che a 24 anni è stato votato da un cipriota su cinque senza mai far sapere niente sulle sue idee politiche, ma grazie a video in cui fa vedere come spende 100 milioni di dollari nel paese meno caro del mondo, come sta in piedi 90 ore o come sopravvive sette giorni sepolto vivo – con 2,6 milioni di follower su YouTube che sono il doppio dell’intera popolazione cipriota. La martellatrice Ilaria Salis. Il 34enne spagnolo Alvise Pérez che – anche lui a colpi di video su YouTube – in stile Milei  ha creato un partito che si chiama Se Acabó la Fiesta, “la festa è finita”, e con cui al contrario la festa è iniziata, visto che ha preso tre seggi. Il primo eletto della destra lussemburghese Fernand Kartheiser che ha raccontato di essere stato reclutato come spia dal Gru sovietico, ma d’accordo con la Cia per fregarlo come doppiogiochista. Insomma, c’è l’imbarazzo della scelta, e anche un bel po’ di imbarazzo e basta…
 

Ma la moglie rumena di Vannacci – e le tre lauree prese in Romania – determinano un legame per lo meno simbolico tra il generale politically incorrect e il partito Alianta pentru Unirea Romanilor, Aur. L’annessione della Moldavia; il no a vaccini, maschere e lockdown contro il Covid; lo scioglimento del partito della minoranza ungherese della Transilvania; una “Romania ricca, cristiana e democratica”; nazionalizzazioni; l’opposizione a “correttezza politica, teoria gender, egualitarismo, o multiculturalismo” come “forme nascoste della piaga neomarxista”; il rifiuto degli immigrati; lo scetticismo verso la Ue ma con fiducia nella Nato; l’appoggio ai coloni israeliani in Cisgiordania e ai serbi del Kosovo; la contrarietà all’invio di aiuti all’Ucraina ma assieme alla richiesta di rompere le relazioni con la Russia ed espellere l’ambasciatore; l’omofobia; sono i punti attorno ai quali questa Alleanza per l’Unione dei Rumeni è riuscita ad arrivare al 14,85 per cento dei voti, e a 5 seggi su 33. E l’icona di questa mobilitazione è stata appunto Dracula.
 

Spiegava il volantino di una grande manifestazione il 7 aprile. “L’Aur ha lanciato domenica i suoi candidati a livello nazionale, per le elezioni parlamentari europee e locali. Il lancio in programma nella città di Targoviste, capitale di Vlad Tepes, il sovrano ricordato dai rumeni come un impavido combattente per l’indipendenza e un determinato nemico dei ladri e di ogni tipo di crimine”. Vlad Tepes, Vladimiro l’Impalatore, sarebbe appunto Dracula il vampiro: anche se il collegamento non è del tutto automatico.
 

Nei manifesti dell’Aur, Vlad è ricordato come “combattente per l’indipendenza” dei rumeni e “nemico dei ladri e di ogni tipo di crimine”

Da una parte, infatti, c’è il personaggio storico. Vlad III di Valacchia Hagyak; nato a Sighisoara il 2 novembre 1431, morto a Bucarest tra il dicembre 1476 e il 10 gennaio 1477. Meglio noto come Vlad Draculea, reso in italiano e nelle lingue occidentali come Dracula, che può significare anche Vladimiro Figlio del Diavolo, ma il cui senso originale è Figlio del Drago. Suo padre Vlad II Dracul, “Vladimiro II il Drago”, era stato infatti membro di un Ordine del Drago fondato da Sigismondo di Lussemburgo nel 1418 per proteggere il cristianesimo dell’Europa orientale dall’invasione dei musulmani ottomani. Simbolo della confraternita era un dragone prostrato, con la coda avvolta attorno al collo e sulla schiena una croce, emblema del  trionfo del Signore sul maligno.
 

Padre e figlio furono voivodi di Valacchia: titolo che in slavo ecclesiastico significa letteralmente “signore della guerra”, ma corrisponde in termini feudali a un rango di capo di stato inferiore ai re. Più o meno come l’occidentale principe. Tutta la dinastia era così chiamata Casa dei Draculesti: ramo collaterale di quella Casa di Basarab che dà il nome all’altra regione storica rumena della Bessarabia. Lui in effetti fu voivoda per tre volte: nel 1448, tra 1456 e 1462, e da ultimo nel 1476. Ma lo chiamarono l’Impalatore appunto perché aveva una specie di hobby per uccidere la gente in quel modo particolarmente umiliante e feroce. A furia di far pratica, aveva pure trovato la maniera di non far morire le vittime subito, attraverso un sistema di pali arrotondati e ben ingrassati che trafiggevano senza ledere organi vitali, e facevano sopravvivere in modo orrendo anche per giorni e giorni.
 

Lo chiamarono l’Impalatore  perché aveva una specie di hobby per uccidere la gente in quel modo particolarmente umiliante e feroce

A quel punto, il Figlio del Drago difensore della cristianità sconfinava nel Figlio del Diavolo psicopatico. E non solo impalava. Quando nel 1450 gli ambasciatori che il sultano Maometto II gli aveva mandato per chiedergli un tributo non si tolsero i turbanti in segno di omaggio, lui glieli fece inchiodare sulla testa. E sì che con il futuro conquistatore di Costantinopoli era pure cresciuto assieme, quando il padre in una delle sue giravolte dopo aver chiesto asilo alla corte ungherese era poi finito presso quella ottomana. In territorio ungherese Vlad III era in effetti nato, ed aveva iniziato i suoi studi: arte della guerra, geografia, matematica, scienze, arti classiche, filosofia, slavo ecclesiastico, tedesco, latino, ungherese. Alla corte ottomana li aveva proseguiti: ancora arti militari, turco, Corano, filosofia islamica, arte diplomatica. Maometto II aveva perfino intrapreso una relazione omofila col suo fratello minore Radu, il che forse però contribuì a trasformare la familiarità in odio feroce. Per il sultano, e per i suoi: “Abbiamo ucciso 23.884 turchi senza contare quelli che sono stati bruciati vivi nelle loro case o quelli le cui teste sono state tagliate dai nostri ufficiali”, si vantò in una lettera. Non solo turchi furono però sue vittime, ma anche bulgari, rumeni ribelli o banditi o rivali, tedeschi, ungheresi. Furono appunto libelli tedeschi e ungheresi a denunciarne la crudeltà. con toni poi finiti alla leggenda popolare. Ma allo stesso tempo ogni tanto il Papa invece lo esaltava, appunto come vincitore sugli infedeli.
 

In effetti, i rumeni Vlad se lo erano poi dimenticato, salvo qualche erudito. Ma fu poi ritirato fuori nell’800, secolo nazionalista, come antesignano della lotta di indipendenza. E così divenne l’eroe nazionale esaltato anche dal dittatore comunista Nicolae Ceausescu, e ora riciclato come icona anti-euro. Non tutti i rumeni, in realtà, sono d’accordo. Nel 2004, ad esempio, l’allora ministro della Difesa Ioan Mircea Pascu non ebbe remore a osservare come a Norimberga sia stata condannata gente che ne aveva fatte molte di meno di Dracula. E già nel 1896 lo storico Ioan Bogdan aveva detto che i rumeni avrebbero dovuto vergognarsi di un personaggio simile, piuttosto che vantarsene.
 

Ma la vulgata nazionale prevalente è che Vlad fu costretto a usare mezzi feroci appunto per mettere paura a nemici ancora più feroci, e tenere assieme il suo popolo in un momento difficile. Storia e leggenda sono comunque difficili da districare, se si pensa che neanche si sa bene come morì. Secondo una prima versione, proprio approfittando della sua conoscenza del turco aveva l’abitudine di travestirsi da ottomano, per infiltrarsi oltre le linee a fare ricognizione. Di ritorno da una di queste spedizioni fu appunto scambiato per un nemico e ucciso dai suoi stessi soldati. Secondo una seconda versione, fu ucciso e decapitato dagli ottomani durante una battaglia e la sua testa fu inviata, insieme alla sua spada, a Costantinopoli come macabro trofeo di guerra. Terza variante, che già sembra alludere all’altra leggenda: morì per un morso di un pipistrello. Quarta: prigioniero dei turchi, fu riscattato dalla figlia, andò in Italia e morì a Napoli.
 

Come hanno fatto le leggende sul principe “assetato di sangue” a trasformare la metafora in realtà? Morso del pipistrello a parte, con il Dracula storico non c’entrerebbe niente l’antica leggenda dei vampiri: esseri maledetti che dopo la morte continuano a mantenersi coscienti e attivi succhiando sangue al prossimo, contagiando poi le vittime del loro stesso male. Tra le ipotesi della sua origine: casi di morte apparente; sintomi di particolari malattie come la tubercolosi o la porfiria; l’interpretazione di fenomeni in realtà legati alla decomposizione. Il fatto che il tipo di sepolture diffuso in Europa orientale avrebbe reso la scoperta di questi fenomeni più frequente è stato tirato in ballo, per spiegare la particolare diffusione del tenebroso mito in quelle regioni. La crescente globalizzazione che integra la parte orientale e occidentale del continente è presumibile ragione del perché nel XVIII secolo sui vampiri si scateni una specie di moda. Ne è testimone nel 1746 il benedettino Agostino Calmet, con una dotta “Dissertazione sulle apparizioni de’ Spiriti e sopra i Vampiri, o i Redivivi d’Ungheria, di Boemia, di Moravia e di Slesia”, tradotta anche in italiano nel 1770.
 

In epoca ancora illuminista, lo studio valse all’autore una solenne presa per i fondelli nel “Dizionario Filosofico” di Voltaire, che però forse lo ha salvato dall’oblio. “Questo buon don Calmet, o meglio questo buon dom Calmet (perché i benedettini vogliono esser chiamati col dom), quell’ingenuo compilatore di tante fantasie e stupidaggini, quell’uomo che la sua semplicità ha reso così utile a chiunque vuol ridere delle idiozie antiche”. “Dei sacri oracoli che Dio si è degnato rivelarci, l’assidua sua fatica seppe penetrare l’oscurità. Egli fece di più: li credette con semplicità di cuore, e fu per le sue virtù degno di intenderne il significato”. Che poi in realtà non è neanche del tutto vero. Dopo aver raccontato un bel po’ di storie, in effetti il buon Calmet alla fine se la fa la domanda fatidica: ma come mai tutti questi non morti si trovano “in tanta abbondanza nelle terre di Ungheria, di Moravia, di Polonia, di Russia e della Serbia turchesca, e così rari invece tra di noi dell’Europa occidentale?”. E si risponde che, probabilmente, “quei popoli sono inclini più del dovuto alla credulità superstiziosa”.
 

Ma dopo l’Illuminismo viene il Romanticismo, che le leggende popolari invece le esalta: e se sono macabre ancora di più. Dopo che nel 1748  Heinrich Augustin von Ossenfelder ha scritto una prima poesia intitolata “Der Vampyr”, nel 1797 Wolfgang Goethe nel suo poema “La sposa di Corinto” racconta la di una giovane donna che sospesa tra la vita e la morte  si nutre di sangue. Altro caposaldo è nel 1819 “The Vampyre” di John Polidori: medico di Byron, il cui romanzo è un po’ il secondo classificato nell’informale concorso per romanzi horror degli amici costretti a stare chiusi in una villa svizzera durante un’estate di maltempo, e di cui è vincitore “Frankenstein” di Mary Shelley. Satira dello stesso Byron, il mostro di Polidori costruisce il prototipo romantico del vampiro come potente aristocratico seduttore. Che poi è già Dracula.
 

Come a riprova di un curioso legame tra scienziati e mito dei vampiri, Bram Stoker era laureato in matematica al Trinity College di Dublino. Nato nel 1847, agente teatrale del famoso attore Henry Irving, critico, editore, autore del libro “I doveri degli impiegati nelle udienze per reati minori in Irlanda”, la cui lettura promette essere forse più mortale ancora che il morso di Dracula, Stoker è reduce da una scorribanda in biblioteca dove si è imbattuto sia in scritti sui vampiri che su Vlad III, quando un’indigestione da crostacei gli produce un incubo in cui il tutto viene frullato, fino a generare al mattino il personaggio che al prototipo di Polidori affibbia l’altro soprannome dell’Impalatore, pur con una quantità di licenze storiche. Conte invece di voivoda, ad esempio. In Transilvania invece che in Valacchia. E non rumeno ma ungherese, addirittura con avi vichinghi. E, appunto, non impalatore ma vampiro.
 

Anzi, diventa Dracula il vampiro per eccellenza. Anche quando gli cambiano il nome per non pagare i diritti, come nel “Nosferatu” uscito nel 1922 per la regia di Friedrich Wilhelm Murnau. Nel 2004 erano stati contati almeno 160 film che lo hanno come protagonista, e 650 quelli con riferimenti. E poi romanzi, canzoni, fumetti, videogame.  Sul vero Vlad, invece, pochissimo. L’idea che fosse stato lui l’ispiratore del vampiro Dracula in effetti inizia a circolare fuori dalla Romania soprattutto a partire dal bestseller del 1972 In Search of Dracula, scritto dall’esule rumeno Radu Florescu e dall’esperto in Europa dell’est Raymond T. McNally. L’idea che il voivoda sia diventato vampiro, già ad esempio trattata in un fumetto della Marvel forse non a caso dello stesso 1972, si trova nel 1992 nel film di Francis Ford Coppola che si intitola “Bram Stoker’s Dracula” – anche se come abbiamo visto è proprio Stoker a separare le due storie. A parte alcuni filmacci rumeni del periodo comunista, bisogna aspettare la docuserie di Netflix “Rise of Empires – Ottoman” per avere qualcosa che gli stessi storici rumeni hanno giudicato accurata. In particolare, dopo la prima stagione che nel 2020 è dedicata alla caduta di Costantinopoli, la seconda del 2022 è proprio sul duello tra Maometto II e Vlad, ricostruito in sei puntate.
 

L’idea che il voivoda sia diventato vampiro si ritrova nel film di Coppola, anche se è proprio Bram Stoker a separare le due storie

Sebbene in linea generale ai rumeni la vampirizzazione dell’eroe nazionale non piaccia, in effetti un sondaggio nel 1999 mostrava come solo il 4,1 per cento di loro considerasse effettivamente Vlad III come “una delle più importanti personalità storiche che hanno influenzato i destini dei rumeni”. Adesso, l’elettorato del principe è più che triplicato. Direbbe la facile battuta, perché la gente ha ormai capito che bisogna mettere dei paletti?

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