La valutazione d’impatto sanitario e il futuro dell’Ilva a Taranto

Durante il periodo in cui ho svolto le funzioni di commissario straordinario di Ilva, ho sostenuto la necessità di effettuare la valutazione d’impatto sanitario per lo stabilimento siderurgico di Taranto. Ciò per lo scenario a 6 milioni di tonnellate di produzione annua che si sarebbe determinato a valle dell’esecuzione degli interventi previsti dall’Autorizzazione integrata ambientale (Aia).
 

Il rischio sanitario appariva accettabile per varie ragioni. Innanzitutto per le drastiche riduzioni percentuali delle produzioni di polveri sottili PM2,5 e PM10, rispettivamente del 39 per cento e del 42 per cento derivanti dallo scenario post operam, corrispondenti sostanzialmente a quelle ritenute necessarie dalla valutazione del danno sanitario (Vds) elaborata nel 2021 dalle agenzie regionali pugliesi. Inoltre, l’eziologia multifattoriale delle malattie considerate nelle Vds e i gravi eccessi di deprivazione socio-economica dell’area di Taranto rispetto alla media regionale lasciavano intendere la decisiva rilevanza di tali diversi fattori nella causazione di malattie. Importante anche la qualità dell’aria rilevata nella città di Taranto nell’ultimo decennio. Le rilevazioni di Arpa Puglia testimoniavano, infatti, una tendenza alla riduzione di inquinanti nell’aria, anche nel quartiere Tamburi situato a ridosso dello stabilimento. Non si riscontrava solo il rispetto, da un decennio, dei valori limite della qualità dell’aria per tutti gli inquinanti, ma si registravano, con tendenza migliorativa, valori ben al di sotto dei valori limite legali.
 

Vi era poi la tendenza alla riduzione di malattie e decessi nell’area di Taranto, spesso causati da una lunga e lunghissima latenza (10, 20 e anche 30 anni). I precedenti studi epidemiologici apparivano perciò fondati su situazioni di rischio-base non più attuali. Insomma, gli impianti del siderurgico di Taranto garantivano, dopo l’esecuzione degli interventi previsti dall’Aia, le migliori performance ambientali in un contesto non più critico e non c’era uno stabilimento siderurgico in Europa così dotato di tutte le migliori tecnologie disponibili. La valutazione di impatto sanitario appariva inoltre opportuna perché l’avvio di questo procedimento avrebbe consentito un rinnovato e migliore dialogo con le istituzioni e la comunità locali.
 

Nonostante queste ragioni, ero consapevole che la Valutazione d’impatto sanitario (Vis), secondo la normativa vigente, avrebbe potuto essere presentata solo dall’affittuario e gestore dell’impianto, quindi da Acciaierie d’Italia, e non dal proprietario e locatore, e cioè da Ilva. A Ilva avrebbe potuto essere addebitata, tutt’al più, una mancanza di collaborazione nel non aver proposto al gestore l’opportunità di presentare la Valutazione d’impatto sanitario all’interno del procedimento di rinnovo dell’Aia.
 

In questa prospettiva fu valutato, non solo di proporre ad Acciaierie d’Italia la presentazione della valutazione d’impatto sanitario, ma di offrire una Vis già pronta. Conferimmo l’incarico a un team di esperti che a giugno dell’anno scorso completarono la valutazione d’impatto sanitario. La Vis concludeva nel senso che, considerando sia le valutazioni con approccio tossicologico cancerogeno sia quelle con approccio epidemiologico, i rischi sanitari derivanti dall’esposizione della popolazione del quartiere Tamburi alle emissioni degli impianti dello stabilimento siderurgico di Taranto, per 70 anni, per 365 giorni all’anno e per 24 ore al giorno, secondo l’assetto post operam a 6 milioni di tonnellate di produzione annua di acciaio, rientravano in un range per cui non erano necessari interventi di correzione ed erano perciò accettabili. Dopodiché la Vis fu trasmessa ad Acciaierie d’Italia, autorizzandola ad avvalersene anche nel procedimento di rinnovo dell’Aia. La risposta di Acciaierie d’Italia fu tuttavia di netto rifiuto.
 

La Corte di giustizia dell’Unione Europea, con la sentenza di qualche giorno fa, ha stabilito che la Valutazione d’impatto sanitario dev’essere effettuata nel procedimento di rilascio e in quello di riesame dell’Aia. Nonostante l’amarezza di quell’inopportuno rifiuto di Acciaierie d’Italia, la Vis rimane ancora oggi un’opportunità di cui si deve discutere serenamente. Ciascun stakeholder deve dedicarsi con discernimento, senza dimenticare che un’ipotetica cessazione dell’attività di uno stabilimento siderurgico come quello di Taranto non solo non sarebbe immune da effetti sanitari indesiderati, ma, aggravando inevitabilmente la già critica situazione di deprivazione socio-economica, causerebbe danni sanitari, e non solo, persino maggiori.
 

Antonio Lupo è ex commissario straordinario dell'Ilva di Taranto

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