I danni del “metodo Salis” a chi attende le case popolari. Numeri

Addirittura Pierfrancesco Majorino, sulle colonne di questo giornale, ha spiegato con ragioni molto logiche il motivo per il quale Ilaria Salis ha detto tutta una serie di bestialità sull’occupazione delle case popolari. Ma se non bastasse il Majorino-pensiero, buono per iniziare a mettere le basi per una candidatura a sindaco, c’è tutta una storia, quella di Milano, che smentisce la Salis e le sue corbellerie. E’ la storia di un patrimonio che raccontava bene Aldo Aniasi nel suo “Vivere a Milano”, maggio 1975, quando parlava dello sforzo immane fatto dalla città per costruire case per le tantissime persone che arrivavano dal Meridione: “Noi possiamo dire che nel settore dell’edilizia popolare abbiamo fatto forse più del possibile. Anche se quanto abbiamo fatto è sempre meno del necessario”.  Perché poi, alla fine, il punto è tutto qui: quanto fanno gli enti, Regione Lombardia e Comune di Milano, che sono i proprietari di Aler e di MM spa. E la disillusione si tocca con un dato, quello dell’astensione dal voto nelle periferie. E' vero che tutta la città vota sempre meno: nelle comunali si è passati dal 67,5 per cento del 2011 al 47,7 del 2021. Le europee sono passate dal 58,70 per cento di cinque anni fa al 50,78 per cento. Ma il calo è più marcato nelle periferie, e specialmente nelle periferie popolari. 

 

“Chi entra in una casa disabitata prende senza togliere a nessuno, se non al degrado, al racket e ai palazzinari – ha detto Salis – Essere occupante vuol dire abitare questo spazio precario e faticosamente trasformarlo in un luogo che si possa chiamare casa cercando di sistemarlo coi pochi mezzi a disposizione che si hanno è uno stigma sociale. È proprio in questo contesto di strutturale emergenza abitativa che i movimenti di lotta per la casa agiscono per aiutare il prossimo e assumono il ruolo di un baluardo di resistenza contro la barbarie della nostra società”. Poi Salis dà qualche dato, parlando di 12 mila case sfitte a Milano e di 15 mila case compresa la città metropolitana. Majorino fa di più, parlando di 19mila abitazioni non assegnate, un refrain dai tempi della campagna elettorale. I dati ufficiali però dicono altro. Gli alloggi popolari sfitti a Milano sono circa 8.500, di cui 4.500 di proprietà di Aler e gli altri 4 mila di proprietà di MM. Perché sono vuote, quelle di MM e quelle di Aler? Fondamentalmente per la stessa ragione, pur avendo MM e Aler due guide politiche diverse, la prima che dipende dal Comune retto da un Pd in ottima salute, la seconda da una Regione con il centrodestra saldamente al potere: carenza di manutenzioni. Tradotto, vuol dire che devono essere ancora ristrutturate per poi poterle assegnare. Non è un caso che il numero è stabile negli ultimi 4 anni, poiché man mano che vengono pronte vanno poi ad essere assegnate a chi è in graduatoria, ma altre si liberano e devono essere messe a norma.

Se sulle cifre c’è poco da fare, sia Salis che Majorino sbagliano e non di poco, ci sono poi i dati delle occupazioni abusive. Nel 2014, anno di ingresso di MM spa nella gestione delle case, per decisione dell’allora sindaco Giuliano Pisapia, le occupazioni abusive erano state 1.740. Nel 2018 si attestarono a 1.024 mentre a metà dell’anno in corso sono state 511 le occupazioni abusive, dunque in media con gli ultimi quattro anni. Per quanto riguarda Aler, che ha un patrimonio più vasto, nel 2023 sono stati 844 interventi in flagranza, di cui 112 con esito negativo (ovvero: non si è potuto mandare fuori gli abusivi). Gli interventi con le forze dell’ordine sono stati 390, di cui 226 con la polizia di Stato, 100 con i Carabinieri e 64 con la Polizia locale.

 

Ci sarebbe poi un ultimo dato sul quale bisognerebbe riflettere non poco. Si tratta della morosità dei canoni, che per Aler raggiunge la cifra del 25 per cento. Dunque chi ha la casa, per un quarto, non paga i canoni che sono davvero molto modesti rispetto ai costi d’affitto milanesi. Tra necessità di ristrutturazione, morosità, spese per evitare le occupazioni abusive (leggasi guardianie), che la Salis vorrebbe come soluzione totale e battaglia sociale, e spese per cacciare gli occupanti il bilancio sia di Aler che di MM spa è fortemente dipendente da un afflusso costante di risorse pubbliche. E’ chiaro che la casa pubblica è parte di una politica di welfare, e chi nel passato ha pensato che le case potessero essere un capitolo “in equilibrio di bilancio”, ha sempre fallito. Ma è anche chiaro che la politica, sul bilancio delle case popolari, riflette sempre troppo poco, specie a livello nazionale. Per lungo tempo tutti i gestori hanno chiesto di prorogare il 110 per cento almeno per le case popolari, per poter finire gli interventi o iniziarne di nuovi, ma lo Stato ha risposto sempre picche. Parimenti, ad esempio, Aler deve pagare l’Imu e MM spa no. In tutto questo un patrimonio immobiliare che invecchia, e che in molti casi era stato concepito per “resistere” mezzo secolo, nell’ottica del demolisci e ricostruisci, e che invece è decisamente più anziano, e non è alle viste un piano complessivo di rinnovamento del patrimonio, che si può e si dovrebbe fare solo e unicamente con i soldi pubblici che derivano dallo Stato. Forse per questo Beppe Sala ha deciso che sarà la casa l’ambito su cui sfidare Giorgia Meloni. Anzi, ancor meglio: Matteo Salvini.

Leave a comment

Your email address will not be published.