Il caso Perugia e la riscossa di Azione (guardando a sinistra)

Non tutto era perduto (forse), per i centristi assaliti dalla realtà del voto europeo. Non tutto era perduto per la creatura calendiana, cioè per Azione, a cui il mancato raggiungimento del quorum per Strasburgo, dopo la corsa in solitaria, aveva portato con sé una valanga di j’accuse: male avete fatto a non allearvi con Emma Bonino e Matteo Renzi e a non presentarvi con gli Stati Uniti d’Europa, era il mantra; male avete fatto a chiudervi a riccio, era il commento più benevolo. E insomma, le macerie del terzo polo che mai fu avevano ricoperto di malumore le parole post-voto di Carlo Calenda (“Bonino fa partiti con nessuno, Renzi per sfasciarli”). Sono seguiti giorni di ripiegamento, con molte elucubrazioni sul futuro. Della serie: che cosa succederà in autunno, quando l’ex alleata Italia Viva andrà a congresso? E che cosa succederà all’interno di Azione, dove non tutti la pensano allo stesso modo, e dove c’è chi propende per un dialogo costante anche con il centro del centrodestra uscito vittorioso dal voto europeo (Forza Italia) e chi invece vorrebbe ancorare fortemente il partito al centrosinistra.

 

Ed ecco che i ballottaggi, in un certo senso provvidenziali per i calendiani sull’orlo del miraggio (sarà mai possibile costruire la famosa o famigerata, a seconda dei punti di vista, casa dei riformisti?, si domandano) offrono la possibilità di riprendere fiato: a Perugia, a Modena, a Cremona il risultato positivo del centrosinistra, infatti, è stato raggiunto anche grazie ad Azione (in relativa ascesa, rispetto alle Europee, di un paio di punti percentuali).

 

“Il risultato di Perugia, come quello di Modena, di Cremona e di tante città italiane”, dice Matteo Richetti, capogruppo di Az alla Camera, “dimostra che se l’alternativa alla destra si fa con un forte baricentro riformista e con candidature di alto profilo allora non soltanto si è competitivi ma si vincono le elezioni. Non è una questione di campo largo ma una questione di alternativa di governo credibile. Questo vale anche sul piano nazionale”. E in qualche modo si spera, ragiona un esponente di Azione, “e si riparte da Perugia come auspicio, vista l’affermazione al 52,12 per cento di Vittoria Ferdinandi, candidata del centrosinistra, proposta dal Partito Democratico ma sostenuta da un’ampia coalizione, con M5S, Az e anche una parte di Italia Viva”.

 

Ma, dice un altro esponente, “il caso Perugia ispira ragionamenti più profondi”. E cioè: che cosa fare in futuro, dopo aver metabolizzato in un senso o nell’altro questi risultati – positivi sui territori ma negativi alle Europee? I sostenitori dell’ancoraggio solido nell’alveo del centrosinistra si sentono infatti galvanizzati, ma nel partito la “corrente” favorevole a un allargamento al centro in senso lato è forte: trattasi, spiega un deputato, “di un dialogo non necessariamente rivolto soltanto a sinistra, e di un possibile ricongiungimento con chi, al centro, di fatto ha su molte cose idee simili alle nostre”.

 

Alla parola “ricongiungimento” c’è chi pensa immediatamente a una ricostruzione del terzo polo naufragato prima di partire (il renziano Luigi Marattin e il vicesegretario di Azione Enrico Costa, per esempio, continuano a fare iniziative insieme). Il combinato disposto dell’esito delle Europee e di quello dei ballottaggi, comunque, ispira ai più centristi di Azione altri ragionamenti, anche in direzione di Forza Italia (come dire: non si andrà troppo a sinistra?). Ma il caso Perugia dà forza a chi, tra i calendiani, ha sostenuto l’idea dell’“uniti si vince”, anche quando Calenda ha deciso di andare diviso. L’autunno porterà convention e congressi paralleli nelle varie creature centriste. “Ma si spera l’estate porti consiglio”, è il pensiero comune a diverse teste e anime calendiane. 

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