Che cosa ci fa il ministro dell’Educazione cinese in Europa (e in Italia) a pochi giorni dal G7?

A una settimana dal G7 dell’Istruzione, con i ministri delle grandi economie che domani si troveranno a Trieste per discutere “della valorizzazione dei talenti individuali e il sostegno a un’istruzione innovativa”, come ha detto il ministro dell’Istruzione e del Merito Giuseppe Valditara, Pechino ha trovato un modo per essere presente anche lì, in qualche modo, organizzando significativamente un tour europeo proprio in questi giorni. La scorsa settimana sia Valditara sia la ministra dell’Università del governo italiano, Anna Maria Bernini, hanno incontrato a Roma una delegazione guidata dal ministro dell’Educazione cinese Huai Jinpeng. E hanno parlato di rafforzamento delle relazioni, sinergie e valorizzazioni, evitando accuratamente di menzionare le discussioni che negli ultimi quattro mesi si sono svolte a Bruxelles, in sede europea, per cercare di trovare una soluzione alla cosiddetta “diplomazia accademica” minacciata dai rapporti con la Cina. Negli ultimi anni diverse università europee hanno iniziato a frenare le collaborazioni con Pechino per potenziali furti di tecnologie sensibili e spionaggio, e hanno chiuso i rapporti con gli Istituti Confucio, arma della propaganda cinese da anni ormai finita in modo anomalo dentro alle università e parte integrante dei dipartimenti. Il mese scorso il Consiglio europeo ha approvato una serie di raccomandazioni per mettere in sicurezza la ricerca scientifica. Una di queste prevede di istituire una figura dentro le Università che sia in contatto con le agenzie d’intelligence e sia in grado di capire se un accordo universitario è sicuro oppure no. In Italia il dibattito sulla questione non ha mai preso piede, ma anche in altri paesi europei: ieri Politico ha scritto che su 379 collaborazioni tra università europee e cinesi, circa un quinto aveva come partner le università cinesi considerate più vicine alla Difesa – alcuni accordi sono legati anche a progetti europei, per esempio sulla decarbonizzazione.  Due giorni fa  Huai Jinpeng è volato a Parigi, dove ha incontrato la ministra dell’Università di Macron, Sylvie Retailleau. 

 

Come per la gran parte dei dirigenti del Partito comunista cinese, online si trovano poche notizie della vita di Huai Jinpeng, ministro dell’Educazione sin dal 2021. Si sa che prima di iniziare la carriera da alto papavero della leadership di Xi Jinping, come membro del Comitato centrale del Partito dal 2017, è stato preside dell’Università di Beihang – classificata come top secret per i suoi legami con la Difesa cinese e sotto sanzioni da parte degli Stati Uniti – e che la sua formazione da ingegnere informatico gli impedisce di stare troppo lontano dai laboratori. Da giovane accademico ha fatto un periodo di studio alla Columbia University di New York, e questo spiega il suo inglese molto buono, anche se negli incontri pubblici preferisce parlare in mandarino. Chi lo ha conosciuto, ne parla come di un capace diplomatico, che sa tessere relazioni anche fuori dai confini nazionali, tanto che è stato l’ultimo cittadino cinese a essere insignito della Légion d’Honneur dalla Francia, nel 2012, per aver promosso le relazioni accademiche e tecnologiche fra Pechino e Parigi. 

 

 

Huai Jinpeng è volto e simbolo del nuovo corso cinese: il suo predecessore, Chen Baosheng, era un economista, Huai invece rappresenta lo sviluppo tecnologico che il leader Xi Jinping desidera per la Cina, per arrivare a essere la potenza tech in grado di competere con l’America, in una costante sovrapposizione di piani (forse per l’occidente poco comprensibile), fra Partito, leadership autoritaria, economia e soprattutto Difesa. In questa geografia, il ministero dell’Educazione cinese è in realtà l’istituzione presentabile di una politica in realtà rapace, dove piano civile e militare sono sovrapposti. E Huai lo dice spesso, nei suoi discorsi pubblici: la Cina ha bisogno di una nuova classe di “talenti innovativi”, ovvero “la risorsa più strategica per migliorare la competitività di base della Cina e un sostegno essenziale per raggiungere l’autosufficienza tecnologica”. Gli accordi accademici con le università europee servono anche a questo. 

 

Ma il ministero riflette la politica di Xi, e quindi un mese fa Huai era a Mosca, ha avuto un incontro anche con Vladimir Putin, e poi ha firmato un accordo tra l’Harbin Institute of Technology – un’altra università tra le più segrete della Cina, anch’essa sotto sanzioni americane, che fa parte dei cosiddetti Sette figli della difesa nazionale, le più strategiche per la Difesa di Pechino – e l’Università di San Pietroburgo. Daria Impiombato, analista dell’Australian Strategic Policy Institute di Canberra, dice al Foglio che la visita in Russia di Huai, e subito dopo in Europa non è casuale, “e sicuramente è un segnale”, soprattutto in un periodo in cui quasi tutti gli atenei occidentali hanno chiuso i rapporti con le università russe. Il problema delle collaborazioni con gli istituti cinesi riguarda soprattutto i dettagli: non tutte le università cinesi sono sullo stesso piano, si tratta di capire  quali sono i rischi, e che durante gli incontri diplomatici”, come quelli che ha avuto Huai in Europa, “non vengono mai accennati”. Per l’analista certi  incontri sono una prassi che serve più alla propaganda cinese che a noi, ma l’attivismo del ministero dell’Educazione, “i tour per attirare talenti dall’estero vengono da una fase di difficoltà: siamo in un momento in cui gli studenti stranieri in Cina sono pochissimi”. Il dialogo dunque resta necessario, ma è importante intavolarlo anche menzionando queste criticità, oltre che quella più difficile, secondo Impiombato, e cioè “quello della sicurezza e di come avvengono le cooperazioni soprattutto in ambito tecnologico e scientifico”. Un tema più sentito negli Stati Uniti, ma che sta diventando prioritario anche in Europa.

 

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