Il fondatore di Wikileaks Julian Assange patteggia e ottiene la libertà

Il fondatore di Wikileaks si è accordato con gli Stati Uniti. Si dichiarerà colpevole di un capo di accusa e poi tornerà libero in Australia. Mercoledì il processo nelle Isole Marianne

A quattordici anni dalla diffusione di materiale riservato del governo federale degli Stati Uniti d’America e del Pentagono e dopo dodici anni di inseguimenti, fughe, vita da rifugiato in ambasciate ecuadoriane e prigione, Julian Assange ha deciso di patteggiare. Era da mesi che stava trattando con la giustizia americana. L’accordo è stato trovato. Julian Assange ha concordato con le autorità statunitensi di dichiararsi colpevole di un’unica accusa penale per poter essere libero: il tempo che ha già trascorso dietro le sbarre nella prigione di massima sicurezza Belmarsh di Londra (1.901 giorni in totale) basta.

Secondo i termini dell’accordo, i pubblici ministeri del dipartimento di Giustizia degli Stati Uniti chiederanno una condanna a 62 mesi, che equivale proprio al periodo di tempo che ha scontato nel Regno Unito. Ora serve un processo. L’accordo prevede che si farà, ma in una location un po’ strana: un tribunale distrettuale americano nelle Isole Marianne, un territorio americano nel Pacifico meridionale. Perché proprio nelle Isole Marianne? Perché lì c’è il tribunale distrettuale americano più vicino all’Australia e perché Assange non si fida di atterrare nell’America continentale in quanto, scrive in una lettera del Dipartimento di Giustizia, “nutre profonda sfiducia nei confronti del governo degli Stati Uniti, arrivando al punto di accusare i funzionari di aver presumibilmente complottato per ucciderlo”.

L’udienza dovrebbe svolgersi mercoledì mattina.

Perché Assange era in una prigione britannica

Assange era ricercato dalle autorità statunitensi con l’accusa di spionaggio, dopo la pubblicazione da parte di Wikileaks di centinaia di migliaia di documenti militari e governativi sensibili forniti dall’ex analista dell’intelligence dell’esercito Chelsea Manning nel 2010 e nel 2011. Gli Stati Uniti avevano accusato Assange di mettere in pericolo la vita di fonti riservate rilasciando i dispacci non filtrati e da anni cercavano la sua estradizione. Ha dovuto affrontare 18 accuse per il suo presunto ruolo nella violazione e ha rischiato un massimo di 175 anni di prigione.

Assange aveva a lungo sostenuto che c’era un disegno politico contro di lui e contro la libertà di parola e che proprio per questo non si sarebbe consegnato alle autorità americane in quanto non avrebbe affrontato un processo equo. A suo avviso il suo arresto avrebbe violato la Convenzione europea sui diritti umani.

Poi arrivò l’agosto del 2010. Julian Assange venne accusato di violenza sessuale in Svezia e contro di lui venne ordinato un mandato di arresto internazionale. Lui ha negato le accuse definendole “una campagna diffamatoria” e ha rifiutato di andare a Stoccolma per essere interrogato. E così si consegnò alle autorità britanniche ma, mentre era libero su cauzione nel 2012 mentre faceva appello all’estradizione in Svezia, Assange fuggì presso l’ambasciata ecuadoriana richiedendo asilo politico.

Col passare del tempo, il suo rapporto con il suo ospite si è inasprito e il presidente dell’Ecuador ha subito pressioni da parte degli Stati Uniti affinché lo espellessero. Nel 2019, Assange è stato ritirato dall’ambasciata dalla polizia metropolitana di Londra su un mandato di estradizione del Dipartimento di Giustizia degli Stati Uniti e ha trascorso i successivi cinque anni vivendo per lo più isolato, in una cella di 3 metri per 2 nella prigione di Belmarsh.

Le autorità britanniche però non lo hanno consegnato al quelle americane. Avevano chiesto rassicurazioni agli Stati Uniti sul fatto che non avrebbe ricevuto la pena di morte.

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