Il lusso di un’opposizione normale

L’immagine dell’Italia fotografata dai ballottaggi che hanno coinvolto tra domenica e lunedì quattordici importanti capoluoghi di provincia, tra cui anche cinque capoluoghi di regione come Firenze, Bari, Perugia, Potenza e Campobasso, conferma ancora una volta lo stato di grazia assoluta di cui gode la politica nel nostro paese. Le europee hanno messo di fronte agli occhi degli osservatori una verità difficile da negare che coincide con la presenza in Italia di un unicum rispetto al resto d’Europa: una maggioranza di governo solida, coesa, premiata dagli elettori, con i partiti più moderati che prevalgono su quelli più estremisti, in grado di potersi proiettare senza problemi eccessivi lungo il percorso che la separa dal termine naturale della legislatura e pronta addirittura a fare un passo ulteriore verso il mainstream europeista avvicinando la traiettoria del primo partito di governo, Fratelli d’Italia, a quella dei gruppi politici tradizionali in Europa, tutti pronti, compreso Fratelli d’Italia, a promuovere Ursula von der Leyen a presidente della Commissione europea, nonostante i borbottii delle destre più estreme.

Pochi paesi possono vantarsi di avere un governo stabile, che ogni giorno si avvicina all’europeismo e s’allontana dall’antieuropeismo. E pochi paesi però possono vantarsi di avere, oltre a una maggioranza solida, anche un’opposizione altrettanto solida, come quella italiana, in grado di muoversi sullo scacchiere della politica come un’alternativa non strutturalmente populista, desiderosa cioè di contrapporsi alla maggioranza di governo seguendo uno schema tutto sommato rassicurante: progressisti contro conservatori, non popolo contro establishment. Da questo punto di vista, i risultati dei ballottaggi di ieri offrono buone notizie all’opposizione. Il sistema a doppio turno, il ballottaggio, non permette di proiettare con credibilità nel futuro le vittorie ottenute dal centrosinistra a Firenze, Bari, Perugia, Potenza e Campobasso (in tutti i principali comuni al ballottaggio, il centrosinistra ha vinto, tranne a Lecce dove il centrodestra si è affermato a sorpresa: risultato finale: 6 a 5 per il centrosinistra).

Ma la lezione, in fondo, è chiara: per provare a vincere, è preferibile unire le forze il più possibile per dimostrare che il centrodestra riesce a essere maggioranza solo quando il centrosinistra si disunisce.

Il caso di studio forse più interessante di questa tornata elettorale, a livello politico, è quello di Perugia dove il centrosinistra si è presentato allargato al massimo, dal M5s al Pd passando per le case occupate di Ilaria Salis fino ad Azione, per provare a strappare il capoluogo umbro al centrodestra (missione compiuta). Ma più in generale è lo schema di gioco che si intravede che offre buone notizie a tutti coloro che sognano di  avere un paese in cui l’unica opposizione credibile non sia quella che si muove all’interno della stessa maggioranza. Un’opposizione, per capirci, dove i partiti più europeisti, come il Pd, crescono. Dove i partiti un tempo anti sistema si adeguano ai nuovi equilibri e dove anche i partiti centristi capiscono che per poter essere appetibili verso i propri elettori non possono permettersi di non scegliere da quale parte dello schieramento stare. Il centro che guarda a destra senza stare a destra non funziona (funziona solo Forza Italia, che sta a destra provando a riequilibrare verso il centro la propria coalizione). E il centro che guarda a sinistra può funzionare solo a condizione di provare a riequilibrare la sinistra all’interno della coalizione e non dall’esterno (piccolo dato di cronaca: al primo turno, a Perugia, nello stesso giorno, Azione ha preso il tre per cento alle europee e il sei per cento come lista presente all’interno al campo largo in sostegno del candidato sindaco).

L’opposizione che ieri ha battuto un colpo sonoro sbattendo in faccia a Giorgia Meloni tutti i problemi che ha il centrodestra quando si ritrova a fare i conti con l’espressione “classe dirigente” è un’opposizione poco omogenea (come d’altronde è la maggioranza), molto divisa su alcuni temi cruciali (come d’altronde è la maggioranza), molto caotica quando si ritrova a ragionare sui valori non negoziabili (come d’altronde è la maggioranza) ma è un’opposizione che sognerebbero di avere probabilmente gli elettori di parecchi paesi europei: gli stessi, per capirci, che devono fare i conti oggi con scenari inquietanti come quelli che vi sono in Francia, in Germania e in Austria, dove le alternative ai partiti di governo sono partiti populisti, nazionalisti e anti sistema. L’idea che tutti i partiti che non si trovano al governo debbano muoversi forti della consapevolezza che tra qualche anno dovranno condividere lo stesso spazio per provare a dare una spallata al governo è un’idea che vive anche nel tentativo di non voler disperdere l’energia positiva incamerata alle comunali provando a far fronte comune su un altro terreno di gioco: quello referendario. La storia è nota. Pd, M5s, Avs, Azione, Italia viva hanno annunciato di volersi organizzare per abolire, per via referendaria, la legge quadro sull’autonomia differenziata votata dal Parlamento la scorsa settimana. La legge approvata dal Parlamento, però, non è una legge costituzionale ma è una legge ordinaria e per poter eventualmente abolire questa legge, attraverso il referendum, occorrerebbe portare al voto il 50 per cento degli aventi diritto. Finestra di voto, nel caso di approvazione del referendum, la primavera del 2025. Nel centrosinistra qualcuno deve aver capito che portare a votare 25 milioni di elettori al voto è una missione impossibile considerando il fatto che il centrodestra farà campagna per non partecipare al referendum. E dunque è possibile che nel centrosinistra prevalga l’opzione non autodistruttiva di chi suggerisce di presentare alla Corte costituzionale un ricorso sulla legge impossibile da accogliere per evitare di dover davvero fare i conti con un referendum che non si può vincere. Ci sarà tempo di misurare l’opposizione sulla sua capacità di dettare l’agenda, di trovare una sua identità, di mettere pressione alla maggioranza, di non regalare al centrodestra argomenti che non possono essere considerati di destra solo perché proposti dalla destra.  Ma la presenza contemporanea di un governo stabile, dove gli estremi contano sempre meno, e di un’opposizione in crescita, dove gli estremi contano sempre meno, è un ingrediente ulteriore che permette all’Italia di mettersi in mostra per quello che è: un paese pacificato, dove le forze anti sistema non sfondano, dove il sovranismo è già passato senza fare danni eccessivi, dove il secessionismo è stato ridotto a una barzelletta, dove l’agenda del vaffanculo è stata sostituita dall’agenda del no grazie, dove gli elettori avendo già fatto i conti con il populismo hanno smesso sistematicamente di premiare i populisti. Cinque anni fa, l’Europa guardava alla maggioranza e all’opposizione dell’Italia come un modello da combattere. Oggi è possibile che molti paesi europei osservando il bipolarismo all’italiana si domandino, con un po’ di invidia e un po’ di gelosia, semplicemente: ok, e noi? Dire che la politica italiana sia il meglio che possa desiderare un elettore in Italia sarebbe esagerato. Dire che stando a quello che si vede in Europa è il massimo a cui potrebbe ambire un elettore europeo può suonare forte ma forse visti i tempi che corrono è tutto tranne che una bugia.

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