Tutti i motivi per cui non si può tenere la politica europea fuori dall’Europeo

L’Europeo più politico di sempre viene dopo il Mondiale più politico di sempre. O, forse, fingiamo ancora di sorprenderci quando scopriamo che il calcio è politica ogni giorno, soprattutto quando la manifestazione ha tutti gli occhi addosso e ogni messaggio è amplificato. Il calcio è visibilità delle posizioni, moltiplicatore delle preoccupazioni o dell’orgoglio, oppure macchina di consenso. È potere e può essere contropotere, lo è sin da quando è nato: sono nati i regimi e le rivoluzioni, poggiando il piede sul pallone. Quindi anche in questo Europeo, che viene dopo le europee, con la guerra in casa nostra da due anni e mezzo e con questioni antiche che quando il palcoscenico è così grande si ripresentano sotto forma di rivendicazioni, la politica prende il suo spazio. E no, non bastano goffi tentativi delle Federazioni di dire “non parliamo di politica”, è successo alla conferenza stampa di Frattesi, sottraendo il giocatore alle domande come fosse insidioso manifestare il pensiero. Perché o il calcio parla di politica o la politica parla al calcio.
 

Ancora rimbombano le parole di Kylian Mbappé e Marcus Thuram prima della partita con l’Austria, interventi a gamba tesa nella campagna elettorale della Francia. Per le legislative si vota il 30 giugno e il 7 luglio e si vota perché il Rassemblement National ha stravinto le europee e Macron ha rimesso tutto nelle mani degli elettori sciogliendo le camere la sera stessa dello scrutinio. Avanza l’estrema destra o recupera il nuovo Fronte popolare? Decideranno gli elettori, che però sono anche tifosi, che sono francesi, sono giovani e sono quelli a cui si rivolgono Mbappé e Thuram, con toni diversi (parla di estremismi alle porte il primo, invita a combattere il secondo) per arginare il partito della Le Pen, dato come vincitore. Milionari che non vivono i problemi della gente, dice Jordan Bardella, il giovane leader dell’estrema destra francese, mentre la Federcalcio transalpina ha cercato (ecco, non si può) di mantenere la neutralità dell’istituzione nazionale. Perché il calcio non è neutrale, non lo è mai stato.
 

Non lo è nemmeno per Viktor Orbán, il primo ministro ungherese che nel calcio vede la proiezione del nazionalismo e che quindi spera che la Nazionale vada molto avanti in questo torneo. Anche perché di soldi ne ha investiti: si stima una somma di 2,8 miliardi di dollari per stadi e strutture di allenamento dal 2010, da quando è stabilmente al potere. Le opposizioni dicono che ha speso più per il pallone che per gli insegnanti. C’è un’altra disputa tra Orban (che dal calcio è ossessionato: ha provato a giocarci, ha messo un suo uomo di fiducia – il più ricco del paese – a capo della Federazione, ha sistemato l’agenda degli impegni per essere presente alle partite) e gli oppositori: quattro dei ventisei nazionali non sono nati in Ungheria e come la mettiamo con i “migranti”? Qui entra il concetto caro a Orbán: questi sono stranieri buoni, la sua stretta è a quelli cattivi. Stessa importanza per il calcio è data in Turchia dal presidente Erdogan, che di frequente telefona a Vincenzo Montella, che allena la Nazionale della mezzaluna: tra i due dicono ci sia conversazioni che virano dal complicato al divertente, perché Erdogan non parla italiano e Montella non parla turco, quindi ognuno usa la sua lingua madre mescolandola all’inglese. Erdogan prova a stare così vicino al calcio, dopo che il calcio in qualche modo gli si era rivoltato contro, quando nel 2015 nacque il fenomeno conosciuto come Istanbul United, con i tifosi di Besiktas, Fenerbahçe e Galatasaray che insieme si unirono alle manifestazioni nate da Gezi Park contro il presidente. Fu poi tutto represso, ma l’eco rimase.
 

Non può sfuggire che questo Europeo si gioca nella Germania in cui avanza AfD (secondo partito nazionale alle europee, più su di quello del cancelliere Scholz), su posizioni così estreme che anche l’estrema destra ha preso le distanze, ma che comunque prende voti in un paese in cui la TV di stato chiede in un sondaggio ai cittadini se vogliono che nella Nazionale giochino più giocatori bianchi e il 20 per cento risponde di sì, e il 17 per cento non è contento che il capitano, Ilkay Gündogan, abbia origini turche. Qui la posizione l’ha presa l’allenatore, Julian Nagelsmann: “È un sondaggio di merda, è razzista”. Ma le risposte restano.
 

Invece in Inghilterra, dove non si è votato per le europee, si voterà per le elezioni generali il 4 luglio, tra gli ottavi e i quarti dell’Europeo, ed è dal 1970 che le elezioni non si tengono contemporaneamente a un grande torneo. Secondo gli osservatori un’uscita anticipata dell’Inghilterra dall’Europeo potrebbe ripercuotersi sul primo ministro Rishi Sunak, che già non se la passa bene: una ricerca che dice che i tifosi felici danno fino al 2,4 per cento in più di voti al governo in carica, ma questo si vedrà.
 

Quando, poi, i calciatori dell’Ucraina scendono in campo con la bandiera indossata come un mantello e nei giorni prima tredici di loro diffondono un video in cui mostrano le loro città di provenienza distrutte dalle bombe, occupate dai soldati, devastate dall’invasione russa, si capisce che nemmeno la guerra è un fattore estraneo a una partita di calcio. Andriy Shevchenko, che ora è il presidente della federcalcio ucraina, prima della partita della sua nazionale ha mostrato le rovine della tribuna dello stadio Sonyachny di Kharkiv, costruito per Euro 2012 e distrutto dalle bombe russe dieci anni dopo, come monito, come se colpire il calcio sia colpire il cuore di una nazione. Per poi cercare l’effetto contrario, giocare a calcio per mostrare il proprio, di cuore: “La nostra presenza all’Europeo è un messaggio al resto del mondo: continueremo a lottare, continueremo a vivere rimanendo ancorati alla società che condivide i nostri stessi valori: libertà e democrazia”. Per lo stesso motivo è importante seguire la Georgia, che in Germania, vuole portare il messaggio dei giovani che sono scesi in piazza nelle scorse settimane sventolando la bandiera dell’Unione europea, alla quale vorrebbero appartenere, protestando contro l’approvazione da parte del governo della cosiddetta “legge russa”, che permetterebbe la repressione del dissenso con lo stesso strumento legislativo di Putin. Ragazzi che sperano nel messaggio del calcio, che guardano l’Europeo mentre guardano all’Europa.

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