Tanti virus minacciano le democrazie, ma abbiamo gli anticorpi

Lo confessiamo: siamo preoccupati. Siamo preoccupati per i disastri che succedono in giro per il mondo, ovvio. Ma siamo preoccupati anche per l’irresponsabilità con cui osservando alcuni disastri che vi sono in giro per il mondo riusciamo a masticare con disinvoltura ancora un po’ di scandaloso ottimismo. Siamo preoccupati, oltre che per le guerre, oltre che per il medio oriente, oltre che per l’Ucraina, anche per lo stato delle democrazie mondiali, anche per l’avanzata del lepenismo, anche per la minaccia del trumpismo. E ovunque ci si volti, in giro per il mondo, c’è qualcosa che sembra andare storto (eccezion fatta per l’Italia). Le avanzate degli estremisti in Francia, che potrebbero costringere molti francesi, al ballottaggio del 7 luglio, a dover scegliere il male minore tra il partito di Le Pen e quello di Mélenchon. Le avanzate degli estremisti in Germania, che hanno portato un partito con venature neonaziste a superare un partito socialdemocratico. La minaccia trumpiana, che ci costringerebbe a ribaltare lo storico aforisma di Karl Marx: la storia si ripete sempre due volte: la prima come farsa, la seconda come tragedia.

E poi lo stato delle democrazie del mondo, bene ma non benissimo: secondo l’ultimo rapporto stilato dal “Democracy Index 2023”, meno dell’otto per cento della popolazione mondiale vive in democrazie complete, oltre il 39 per cento della popolazione mondiale vive sotto regimi autoritari, e il numero della popolazione mondiale che non vive in democrazie complete diminuisce di anno in anno.

Le ragioni per essere sconfortati, di fronte al mondo che cambia, non sono poche, ma se volete provare a togliervi di dosso la patina di pessimismo, di catastrofismo, di allarmismo, una soluzione c’è, ed è provare a capire cosa potrebbe andare bene in un mondo che tanto bene non sembra andare. Intanto, parliamo di elezioni. Si è detto molte volte che il 2024 sarebbe stato un anno decisivo per la democrazia, con oltre quattro miliardi di persone chiamate al voto.

Finora, in attesa degli Stati Uniti, non ci si può lamentare.

In Europa, gli elettori chiamati alle urne erano 373 milioni e salvo alcuni casi, come la Francia e la Germania, a livello generale hanno premiato ancora una volta i partiti europeisti, quelli legati al Ppe e al Pse, e hanno reso inoffensivi i partiti più estremisti: qualche risultato buono a livello nazionale, nessun risultato decisivo a livello europeo.

In India, sono stati chiamati alle urne 970 milioni di elettori e rispetto ai pronostici le cose sono andate meglio del previsto: Modi, difficilmente ascrivibile alla categoria dei leader antipopulisti, ha nuovamente vinto le elezioni, ma lo ha fatto perdendo la maggioranza e arrivando al punto di dover lavorare a compromessi con nuovi alleati per poter governare.

In Messico, con 98 milioni di elettori chiamati alle urne, si è affermata, alle presidenziali, Claudia Sheinbaum, prima donna a capo del Messico, e tutto si può dire del Messico tranne che vi sia stata una deriva autoritaria.

La Francia e la Germania, naturalmente, pesano molto nell’umore di chi cerca buone notizie tra le cattive notizie, ma anche qui si può provare a trovare un elemento positivo nel disastro elettorale. In Germania, per quanto l’AfD possa andare bene, il prossimo anno, quando si tornerà alle urne, la Cdu e la Csu hanno già fatto capire di essere pronte ad allearsi persino con i Verdi piuttosto che allearsi con l’AfD, e dunque gli estremisti staranno ancora lontani dal governo, almeno in Germania. In Francia mostrare il bicchiere mezzo pieno è dura, lo sappiamo, ma una vittoria lepenista alle elezioni parlamentari potrebbe costringere il partito guidato dalla signora Marine e dal signor Sbardella a fare i conti con la realtà e chissà se è del tutto da escludere la possibilità che piuttosto che registrare una lepenizzazione di Meloni si presenti una melonizzazione di Le Pen.

Essere ottimisti rispetto agli Stati Uniti non è semplice e dieci giorni fa anche l’Economist ci ha rifilato una bella mazzata rivelando che il proprio modello di previsione delle elezioni americane è passato improvvisamente a considerare il secondo giro di Trump da “impensabile” a “probabile”. Un’eventuale vittoria di Trump in America metterebbe a dura prova la capacità dell’Europa di saper badare a se stessa senza far necessariamente affidamento sul sostegno americano. Sarebbe dura, come lo è già stato tra il 2016 e il 2020, ma rispetto a quella stagione storica l’Europa ha più cartucce per poter badare a se stessa: ha iniziato a mettere in condivisione il proprio debito, ha iniziato a ragionare sulla difesa europea, ha trovato un modo per emanciparsi dalla tossica dipendenza energetica russa e anche se è difficile immaginare che possa sostenere la difesa dell’Ucraina senza il sostegno dell’America, è lecito aspettarsi che – Trump o non Trump –  continuerà ad avere una maggioranza disposta a fare tutto il necessario per proteggere sé stessa dalla minaccia putiniana. Non avere un’America amica dell’Ucraina potrebbe essere un problema ma avere ancora oggi un’Europa che dopo due anni di guerra continua ad avere una stragrande maggioranza di elettori disposta a votare per partiti che hanno messo in cima alla propria agenda la difesa dell’Ucraina può considerarsi una buona notizia, no? E rispetto alla capacità dell’Europa di badare a sé stessa può considerarsi o no una notizia eccellente il fatto che l’Europa che doveva essere pesantemente penalizzata dalle sanzioni avallate contro la Russia negli ultimi due anni ha continuato a crescere, a creare lavoro, a ridurre la disoccupazione e a combattere l’inflazione senza alimentare la decrescita?

La guerra in Ucraina, lo sappiamo, non sempre offre elementi utili per essere ottimisti sul futuro, anche se avere un’Ucraina più vicina all’Europa, una Nato più forte contro la Russia, un occidente disposto ad aiutare sempre di più militarmente l’Ucraina e un’Ucraina che pochi giorni fa è riuscita a respingere l’esercito di Vladimir Putin nel nord della cittadina di Vovchansk, nella regione di Kharkiv, sono tutte buone notizie. E lo stesso si può dire per il conflitto in medio oriente, anche se la pazienza mostrata in questi mesi da alcuni paesi arabi, come per esempio l’Arabia Saudita, potrebbe essere lì a suggerire che quando la guerra finirà Israele potrebbe avere nuovi amici con cui provare a estirpare politicamente il morbo di Hamas per provare a costruire una pace duratura. Affettare ottimismo, di questi tempi, non è facile, così come non è facile, per restare su Israele, immaginare che l’ondata di antisemitismo che si è generata in giro per il mondo possa essere riassorbita facilmente quando la guerra finirà. Ma se si osserva la direzione dell’Europa, se si osserva la compattezza mostrata dalle democrazie mature contro la Russia, se si osserva il modo in cui le democrazie liberali hanno trovato modo per aiutarsi a vicenda e se si osserva anche il modo in cui paesi come l’Italia hanno mostrato che persino i più temibili populisti possono trasformarsi in bambolotti mainstream, c’è ancora qualche possibilità di vedere il bicchiere di fronte a noi senza considerare la spaventosa porzione mezza vuota ma concentrandosi sulla meravigliosa porzione mezza piena. Le democrazie sono sotto assedio, è vero, ma il caso europeo, nel suo piccolo, dimostra che anche quando le società aperte sono assediate gli anticorpi per combattere i populismi e gli estremismi si trovano: basta solo saperli cercare.

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