Questa nuova autonomia non piace a Franco Bassanini

Si, firmerò il referendum contro l’autonomia differenziata perché sono convinto che si sia proceduto nel modo sbagliato. Prima andavano definiti tutti i livelli essenziali delle prestazioni, materia per materia, e solo dopo si doveva procedere con la riforma, così invece si crea una situazione non sostenibile per la finanza pubblica”, dice Franco Bassanini, ex ministro della Funzione pubblica e nel comitato di esperti – insieme a Giuliano Amato, Franco Gallo e Alessandro Pajno –  convocato dal padre dell’autonomia differenziata, il ministro leghista Roberto Calderoli per la definizione dei livelli essenziali di prestazione in tutte le materie. Bassanini, come gli altri, mesi fa ha lasciato quel comitato. 

 

Ma come, proprio lei che fu tra i promotori della riforma del Titolo V, ora è contrario alla sua attuazione? “Mi fa piacere che me lo chieda perché è assolutamente falso”, dice l’ex ministro. “Tutto nasce da una confusione che spesso viene fatta tra le cosiddette leggi Bassanini e la riforma del Titolo V sulla quale io non ho messo mano. Le riforme Bassanini sono leggi ordinarie che redistribuivano i poteri amministrativi tra lo stato, le regioni e le province, oltra a introdurre diverse semplificazioni come la carta d’identità elettronica e le autocertificazioni”. 

 

Ma lei era comunque ministro in quel governo. “Certo, ero alla Funzione pubblica, non alle riforme costituzionali. Le dico di più, quando si era in dirittura d’arrivo, verso la fine della legislatura, discutemmo in Consiglio dei ministri se fosse il caso di iscrivere alla Camera la seconda lettura della riforma. Vincenzo Visco e io sostenemmo che era meglio non chiedere. Era evidente che sarebbe stata approvata a colpi di maggioranza perché all’epoca Forza Italia e Alleanza nazionale ritenevano che in questo modo si dessero troppi poteri alle regioni mettendo a rischio l’unità nazionale. Le riforme costituzionali non si approvano così. Inoltre secondo noi c’erano diverse cose da rivedere nella ripartizione delle competenze tra stato e regioni. In Cdm però prevalse l’idea che bisognasse andare avanti per tagliare l’erba sotto i piedi della Lega Nord”. Chi fu a insistere? “Il segretario dei Ds Walter Veltroni, ma soprattutto Francesco Rutelli, che all’epoca era capo della Margherita ed era destinato a essere il candidato premier, ma il consenso era davvero diffuso tant’è che in Cdm Amato non parlò e fece fare un giro di tavolo: i contrari eravamo solo io e Visco, così fu dato mandato al ministro dei Rapporti con il Parlamento per chiedere la calendarizzazione”.

Eppure così avete aperto all’autonomia differenziata, oggi contestata dalla sinistra, che modifica l’articolo 116 della Costituzione riconoscendo “ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia” per le materie di legislazione concorrente tra stato e regioni. “Sarò onesto – dice Bassanini – le nostre obiezioni non riguardavano l’articolo 116 che all’epoca era pensato come una cosa residuale: nacque, vi metterete a ridere, da un caso molto specifico”. Ovvero? “Gli istituti professionali in Lombardia erano gestiti in stretto accordo con le associazioni di categoria industriali, perché è naturale che nel distretto della meccanica di precisione, per esempio,  si formino tornitori. Era un sistema molto efficiente, per questo c’era l’idea che in quel puntuale ambito della materia istruzione la regione potesse chiedere autonomia maggiore. Poi, i referendum in Veneto e Lombardia hanno fatto assumere a quell’articolo un carattere più estensivo, con le regioni che ora chiedono intere materie concorrenti”. E adesso? “La verità è che prima ancora che dare l’autonomia, bisognerebbe avere il coraggio di rivedere l’intera ripartizione delle competenze tra stato e regioni che oggi è anacronistica. Le regioni potrebbero chiedere ad esempio di avere competenza esclusiva in materia di energia, quando ormai quella è una materia concorrente tra Roma e Bruxelles. All’epoca era così perché la questione principale era la distribuzione, e quindi le concessioni potevano essere gestite a livello locale, ma oggi il tema principale, l’indipendenza energetica, è una questione d’interesse sovranazionale”. 
 E qui Bassanini fa due esempi. “Lo scorso anno il governatore della Sicilia Renato Schifani convocò una conferenza stampa per dire che non avrebbe rilasciato più autorizzazioni per impianti rinnovabili in Sicilia perché erano già troppi. Chiamai subito un autorevole esponente del suo partito, FI, e gli dissi ‘scusa ma Schifani è fuori di testa?’, la sua risposta fu ‘Franco sono le nove e mezzo e sei la 40esima persona che mi dice la stessa cosa, ora ci penso io’, poco più tardi Schifani convocò una conferenza stampe per dire che i giornalisti avevano capito male. Tre mesi dopo il presidente della Puglia Michele Emiliano ha fatto approvare dal consiglio regionale una legge con un pesante contributo annuale per le società che hanno infrastrutture energetiche che passano per la quella regione, non solo la Tap, il governo ha fatto ricorso alla Corte costituzionale, che credo e spero gli darà ragione. Però adesso con l’autonomia differenziata le regioni potrebbero chiedere l’energia come materia esclusiva, a quel punto non ci sarebbe neppure la Corte a fermare iniziative del genere”. 
C’è poi la questione dei livelli essenziali di prestazione, gli standard minimi dei servizi che, a prescindere da chi li eroga, il bilancio pubblico deve garantire su tutto il territorio nazionale. E’ su questo punto che Bassanini, Amato, Gallo e Paino hanno lasciato il tavolo dove li aveva convocati Calderoli in qualità di esperti.
“Chiedevamo – racconta Bassanini – di approvare l’autonomia solo dopo aver definito i Lep  in tutte le materie, e questo perché la finanza pubblica è una scatola unica. Invece il ddl Calderoli stabilisce che una volta fissati i Lep su una materia, su quella le regioni possono chiedere il trasferimento di competenze, ma questa cosa non si può fare perché a un certo punto i soldi finiscono, per questo bisognerebbe fare a monte delle scelte definendo tutti i Lep contestualmente”. E anche qui l’ex ministro cerca di concretizzare. “Se scelgo un livello delle pensioni minime ho un costo che magari mi impedisce di garantire il tempo pieno nelle scuole di tutto il territorio nazionale, quindi cosa preferisco fare? Abbasso un po’ il valore di queste pensioni o riduco l’orario del tempo pieno? Sono scelte che per garantire la sostenibilità finanziaria devono essere prese insieme.  A meno che non pensiamo che la finanza pubblica sia un pozzo senza fondo, d’altronde questo è anche il motivo per cui la Commissione europea è intervenuta su questo provvedimento”. 

 

E Calderoli cosa ha detto quando gli avete mosso queste contestazioni? “Può anche essere che costituzionalmente abbiate ragione voi, ci ha risposto il ministro, ma con questa interpretazione l’autonomia si fa tra dieci anni e io devo farla subito”.

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