Gli attacchi in Daghestan e i problemi di sicurezza che il Cremlino non vuole vedere

Domenica sera, quando nella regione russa del Daghestan, nel Caucaso settentrionale, erano le 18.00, è partito un attacco quasi simultaneo in due città: Makhachkala, il capoluogo, e a Derbent, seconda città per grandezza. Due commando di uomini armati hanno colpito stazioni di polizia, sinagoghe e chiese, senza che per il momento ci sia stata una rivendicazione. 

Derbent è stata colpita nel centro della città, il commando ha attaccato una chiesa e una sinagoga che come parte del centro è patrimonio dell’Unesco. In città vive una parte consistente della popolazione ebraica del Daghestan, ma nessuno era presente nella sinagoga al momento dell’attacco e neppure quando si è sviluppato un incendio che ha subito chiamato alla memoria le immagini del Crocus, la sala concerti fuori Mosca attaccata il 22 marzo: durante l’attentato rivendicato più volte dallo Stato islamico del Khorasan, morirono centoquarantacinque persone, alcune uccise dagli spari dei terroristi, altre rimaste intrappolate dalle fiamme dell'incendio che il commamdno aveva provocato. I servizi di sicurezza russi, dopo l’attentato terroristico al Crocus, dissero di aver catturato tutti gli attentatori, si rifiutarono di ammettere che la responsabilità fosse dello Stato islamico e dissero che era stata l’Ucraina a organizzare il terribile attacco. Anche in Daghestan, il governatore Sergei Melikov ha detto in un video su Telegram di sapere “chi c’è dietro l'organizzazione degli attacchi e quali sono gli obiettivi…dobbiamo capire che la guerra è arrivata a casa nostra”. Non ha pronunciato la parola Ucraina, non ha dato altri dettagli. Abdulkhakim Gadziev, un deputato della regione, ha parlato direttamente di un possibile coinvolgimento di Kyiv e della Nato, mentre il senatore Dmitri Rogozin ha pronunciato parole inaspettate, suggerendo che continuare ad addossare all’Ucraina o all’occidente ogni attacco terroristico in Russia potrebbe portare a problemi più grandi. 

Anche a Makhachkala sono state colpite una chiesa e una postazione di polizia, durante gli attacchi sono stati uccisi quindici poliziotti, un prete e un numero ancora non specificato di civili. Gli attentatori sono stati bloccati in un palazzo e quattro sono stati uccisi, due, secondo il canale telegram Baza, erano Osman e Adil Omarov, figli di Magomed Omarov, capo del distretto di Sergokalinski. 

Il Daghestan è una regione a maggioranza musulmana, a ottobre dello scorso anno, dopo gli attacchi di Hamas contro i kibbutz nel sud di Israele, una folla di persone aveva cercato di attaccare un aereo proveniente da Israele e che atterrava a Makhachala, erano stati dispersi, ma le immagini erano forti e segno di una situazione difficile da controllare per le autorità. Nel 2015 dal Daghestan venivano alcuni militanti dello Stato islamico che erano andati a combattere in Siria e poi dichiararono di aver stabilito una sede distaccata del gruppo nel Caucaso settentrionale. 

Esattamente un anno fa, iniziava l’ammutinamento di Evgeni Prigozhin, con gli uomini della Wagner. Il capo dei mercenari partì da Bakhmut, in Ucraina, per marciare verso Mosca, tornò indietro a duecento metri dalla capitale e l’aereo su cui viaggiava venne abbattuto due mesi dopo. Secondo le valutazioni dell’intelligence occidentale, l’ammutinamento di Prigozhin non ha scalfito Vladimir Putin, che tiene ancora saldo il potere in mano, ma ossessionata dalla guerra contro l’Ucraina, la Russia continua a ignorare i suoi problemi legati alla sicurezza interna.

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