Violante: “La destra va dritta e la sinistra pensa solo ai referendum, le riforme non si fanno così”

“Non parlare con l’avversario è sempre un errore. Chiunque lo faccia. Stare in Parlamento significa stare con quelli che non la pensano come te, è un fatto inevitabile in un paese democratico. Le riforme istituzionali andrebbero fatte così, invece si è arrivati allo scontro: con la maggioranza che va dritta per la sua strada e le sinistre che si preparano ai referendum”. Luciano Violante, ex presidente della Camera, oggi presidente della Fondazione Leonardo, per premierato e autonomia differenziata, avrebbe preferito un percorso diverso. Con una politica più responsabile, che non costringe i cittadini a doversi esprimere su materie tanto cruciali quanto complesse in uno scontro emotivo che surclassa qualunque argomento. “Nella prima Repubblica – dice – vigeva il doppio standard: nella società ci si batteva con l’avversario politico, ma in Parlamento si discuteva, si arrivava a una sintesi. Il doppio standard prevedeva classi dirigenti di livello, oggi purtroppo lo standard è unico; così lo scontro che si fa nelle piazze viene replicato tal quale in Parlamento”. E’ stata più colpa della maggioranza o delle sinistre? “Il discorso delle colpe ci porta fuori strada. La maggioranza ha detto ‘la proposta è questa. Si può aggiustare qualcosa ma la sostanza non si tocca’. Mi è sembrato che non ci fosse la possibilità di un confronto. Non si è posto un problema chiedendo di trovare insieme una soluzione, è stata prospettata direttamente la soluzione; forse bisognava comunque cercare di entrare di più nel merito per dimostrare che la soluzione crea più problemi di quanti ne risolva”.

 

E proviamoci qui allora a entrare nel merito. “Lo dico subito – premette l’ex presidente della Camera – ho molte riserve su queste due riforme. Sul premierato non è vero che si dà ai cittadini il potere di eleggere il presidente del Consiglio. L’eletto deve avere comunque la fiducia del Parlamento e cioè dei capi della maggioranza. Non cambia niente rispetto a oggi; anzi, oggi il potere è del Parlamento; domani sarà dei capi dei partiti di maggioranza, di destra o di sinistra. Il Parlamento è ricattato con la minaccia di scioglimento. Inoltre, diamo vita a un regime con tre teste: il premier, il numero due che scalpita, perché sa che in base alla legge se il numero uno cade può essere lui il nuovo presidente, e il presidente della Repubblica che può autorizzare o no la presentazione delle leggi in Parlamento”. Ma le critiche di Violante non finiscono qui: “Bisogna aggiungere una cosa. Non c’è nessun sistema al mondo in cui il premier traina con se la maggioranza di governo. Non accade in America né in Francia. Anche il vecchio sistema israeliano a cui si fa spesso riferimento era diverso: c’erano due voti, uno per eleggere la Knesset, il Parlamento, e uno per eleggere il premier, tanto che Shimon Peres una volta mi disse scherzando ‘noi abbiamo due voti, uno per eleggere il presidente l’altro per buttarlo giù’. Così il nostro non sarà più un sistema parlamentare: il Parlamento viene svuotato dei suoi poteri dando tutte le carte in mano ai capi di partito. Poi oggi si costringe il Parlamento a votare al buio perché nessuno sa quale sarà la legge elettorale. Mi dispiace dire tutto questo perché sarebbe stata un’occasione importante e stimo chi ci ha lavorato. Ma questa riforma patisce un vizio di origine: cerca di fare il semi presidenzialismo senza cambiare la forma di governo. In realtà costruisce un inedito semiparlamentarismo. Usando dei sotterfugi. E’ la figlia spuria di una posizione più seria, il presidenzialismo, che però per essere fatta avrebbe richiesto la modifica di 20 articoli della Costituzione”.

 

E per quanto riguarda l’autonomia differenziata? Qui Violante fa una premessa: “Purtroppo su questo anche la sinistra ha una responsabilità: la riforma del Titolo V del 2001 è stata fatta maluccio, io c’ero, allora ero d’accordo, sbagliando, quindi penso di poterlo dire. Si indulse a un eccesso di competenze trasmesse alle regioni: pensi soltanto a infrastrutture e trasporti. Che vuol dire che ogni regione si fa le regole dei porti per conto suo ? Se una nave deve attraccare a Brindisi o Ravenna ci sono regole diverse? Prima ancora che la questione nord-sud il problema è che alcune questioni non possono essere frantumate regione per regione altrimenti ne patisce il paese, ne patisce la produzione e patiscono le imprese. Le responsabilità sono anche di chi fece quella riforma, che però senza il reale passaggio di competenze e finanze è rimasta in parte inattuata, così invece si realizza davvero quell’errore. Se noi fossimo gli Usa, con stati da 50 milioni di abitanti, capirei ma non è così. Anche le imprese si accorgeranno dei costi di questa riforma; con ogni regione che cambia le proprie regole finiranno con l’avere in ufficio più avvocati che ingegneri”.

Leave a comment

Your email address will not be published.