Tra i giardini fioriti di Odessa non c’è quasi traccia di ragazzi e giovani uomini

La leadership ucraina si muove in un difficile bilico fra l’urgenza del reclutamento e la considerazione dello stato d’animo della popolazione, i reclutabili e i loro cari. Istantanee dalla perla del Mar Nero

Odessa: come far visita a una gran signora cui una banda di orribili screanzati manca di rispetto, impuniti. La morale la sapete: se non posso averti, posso sfregiarti con l’acido. Ho incontrato davvero una gran signora, Galina Grigoryevna Luschik, è stata medica, radiologa, aveva otto anni quando vide la Seconda guerra, racconta dei romeni e dei tedeschi, spiega che si può dire chi era più cattivo, non chi era più buono. Ero andato ad ammirare una casa meravigliosa di libri e di quadri, ho ammirato lei. Ricorda tutto e dice che ha dimenticato tutto, che ha mal di testa e che un paese non può sopravvivere alla perdita dei suoi giovani.

La gran signora che è Odessa ha cura della vita normale. Giardini fioriti, al solito. La scalinata Potëmkin è aperta al pubblico – salvo che in fondo, dove corre un simbolico filo spinato – al solo prezzo del sole a picco. Qualche cartello proibisce ancora foto e video, ma è restato lì per pigrizia, o per scaramanzia. La statua del Duca, Richelieu, è sempre infagottata e protetta. E’ aperta anche la piazza del municipio, e il gran busto impavido di Pushkin. Le strade del centro sono vivaci dell’estate piena, e la sola singolarità che colpisce l’occhio è l’abbondanza di ragazze e giovani donne – cioè la scarsità di ragazzi e giovani uomini. Gli uomini sono al fronte (o caduti), o all’estero, o al riparo delle case. Le ragazze, specialmente le adolescenti, hanno una sicurezza spavalda, passo di ballo chiasso di marinai.

Ho visitato il museo dell’arte orientale-occidentale, aperto, in gran parte al buio. Si va alla luce del telefono. Un gran palazzo ottocentesco, doppio scalone di marmo di Carrara, finestre per lo più chiuse, a scanso di danni. I quadri importanti sono stati portati in Germania già due anni fa (Caravaggio, eh, Rubens, Hals…), le mostre dei capolavori ucraini si vedono a Berlino, a Vilnius. In una sala tenebrosa un custode è balzato dalla sua sedia svegliato dal mio telefono, sbigottito come una scultura di realismo socialista. Manca l’elettricità in tutta la città – torna per due ore di notte, bisogna star all’erta per ricaricare il telefono. La sirena d’allarme suona, inascoltata – non conosco nessuno che distingua fra allarme annunciato e allarme rientrato. Molto ascoltati i generatori di elettricità, sparpagliati lungo i marciapiedi, con un frastuono da sorvolo di bombardieri. L’inferno, dice Golub, non è il caldo, è il caldo coi generatori. I generatori sono la merce prediletta dagli aiuti, ne sono appena arrivati da Italia e Francia. Dagli ospedali, cui sono destinati, vengono da mani leste dirottati su alberghi e grandi magazzini, poi da grandi magazzini e alberghi vengono reindirizzati agli ospedali da mani oneste – in questo mondo di ladri, in questo mondo di eroi.

Qualche shaheed iraniano – quelli di cui Iran e Russia negano l’esistenza, loro credono in Dio – cade quasi ogni giorno, per lo più in periferia o sul porto, che è il polmone della città e dell’intero paese. (In marzo, Micol Flammini lo raccontò, insieme alla incredibile vittoria navale dell’Ucraina senza flotta, in un prezioso reportage). Il Mar Nero, sopra, è vuoto di navi militari russe, sotto è pieno. Il traffico marittimo, cereali e minerali, è rigoglioso. Ukrferry, la compagnia marittima ucraina, ha appena annunciato il ripristino del traghetto – 250 passeggeri, 100 fra camion e auto – dal porto di Čornomors’k, 20 km a sud di Odessa, a quello di Batumi, in Georgia. Il primo partirà il 2 luglio, la prima volta dall’inizio dell’invasione, per una traversata di 60 ore. Un accordo analogo è in corso con l’Azerbaigian.

Al posto di frontiera di Palanca, fra Moldova e Ucraina, avevo aspettato meno del solito, erano poche le macchine in entrata. Nella direzione opposta c’era una coda rassegnata di molti chilometri. La spiegazione più facile è che si siano rafforzati i controlli su chi cerca di sfuggire alla mobilitazione. Del resto si sa che è questa la difficoltà maggiore dell’Ucraina di oggi, oltre alla spossatezza universale. L’11 giugno a Odessa era successo un episodio allarmante. Ne riferisce fra altri un’agenzia Unn, “notizie nazionali ucraine”, di cui non so, che a sua volta cita i canali locali di Telegram. Largo spazio la cosa ha poi trovato su Facebook. Un anziano autista di ambulanza si è recato al Tcc, il Centro di addestramento e certificazione – il reclutamento – per aggiornare i suoi dati. Viene trattenuto e riceve un ordine di mobilitazione. Dopo di che risulta riportare ferite alla testa e un aumento irregolare della pressione. Viene chiamata un’ambulanza, contro l’intenzione dei commissari militari. Passano ore, e alla squadra di sanitari intervenuta si vieta di prestargli assistenza: il medico del Tcc, asseriscono, non ha riscontrato un rischio attuale. Non ho capito bene il passaggio successivo: i militari comunque vietano anche all’ambulanza di lasciare il Centro, tentano di ammanettare un medico, gli fanno forza e minacciano. Il confronto si protrae a lungo. Il centralinista che scopre interrotta la comunicazione con l’ambulanza, ne informa le altre squadre. Succede così che tutte le ambulanze che si trovano nei paraggi convergono al Centro, e là scoppia un vero accanito scontro fisico, bombole di gas da una parte, bastoni dall’altra, pugni e calci da ambedue. I medici riescono a portare via i loro collaboratori con la forza. Com’è inevitabile, tutto viene ripreso da una quantità di telefonini e messo in rete. I canali televisivi trasmettono la richiesta dei militari di non diffondere questa che chiamano “disinformazione”. Ma tutta la città non parla d’altro. Lo stesso sindaco, Trukhanov, intervistato, dichiara di “disapprovare la violenza”, e sottolinea che Odessa ha bisogno dei medici e dei lavoratori dei servizi pubblici, senza di che sarebbe il caos. Da Kharkiv si avverte che i medici ricevono in massa avvisi di mobilitazione, e così da altre località. Le massime autorità militari non si pronunciano, se non sbaglio, mentre i responsabili militari del Tcc emettono un comunicato che suscita scandalo e derisione: dicono che sconosciuti travestiti con indumenti sanitari si sono introdotti abusivamente nel Centro per portarne fuori altre persone, a loro volta travestite. Sui social corrono voci circa un’inchiesta dei servizi segreti, si dice che i responsabili del servizio delle ambulanze sono minacciati di finire in prima linea, qua e là la gente applaude il passaggio delle ambulanze.

Sono segnali allarmanti, appunto, e al tempo stesso prevedibili. La leadership ucraina si muove in un difficile bilico fra l’urgenza del reclutamento e la considerazione dello stato d’animo della popolazione, i reclutabili e i loro cari, e tutti. Lo stesso Zelensky è intervenuto in alcune occasioni per condannare il ricorso alla forza da parte dei reclutatori. Il reclutamento dei detenuti, che è anch’esso gravido di problemi morali, ha procurato alcune migliaia di uomini alla prima linea. Le autorità ucraine sottolineano la differenza fra la mobilitazione russa, indistinta quanto ai reati ed eminentemente mercenaria, un semestre di roulette russa, e la propria, che esclude i delitti più gravi e odiosi e fa appello a una “redenzione”. Bisogna essere solidali con chi sceglie il fronte, e con chi sceglie di restarsene in cella.

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