Il premierato? Una riforma che serve, ma forse non andrà in porto

Chi ha scritto al direttore Claudio Cerasa

Al direttore – L’inchiesta di Fanpage sull’organizzazione giovanile di FdI, in fondo, ha confermato una realtà già nota, ovvero l’esistenza di una galassia di estrema destra, di energumeni tatuati, rasati e vestiti di nero che sono la gioia dei talk-show, ma la cui forza politico-elettorale è trascurabile. Culturalmente si limitano a rimasticare il simbolismo fascista in chiave di razzismo bianco e anti islamico. Inoltre, come ha spiegato Renzo De Felice, il radicalismo di destra ha sempre attinto più al nazionalsocialismo che al mussolinismo. Una buona gestione dell’ordine pubblico dovrebbe essere sufficiente, in un paese serio, per tenere a bada queste frange. Tuttavia, a mio avviso, un problema c’è. Lo testimonia il silenzio imbarazzato di Giorgia Meloni su un fenomeno il cui rilievo non meritava il commento evasivo e reticente del ministro Cirielli alla Camera. Il problema è che non si può dire addio al postfascismo e, insieme, nascondere la sua forfora sotto la giacca. Ed è un problema che danneggia l’immagine di Giorgia Meloni, la espone alla facile propaganda delle opposizioni, getta un’ombra sulla credibilità di un progetto neoconservatore che si ispira a un riscoperto Giuseppe Prezzolini: “[…] il vero conservatore si guarderà bene dal confondersi con i reazionari, i retrogradi, i tradizionalisti, i nostalgici; perché il vero conservatore intende ‘continuare mantenendo’, e non tornare indietro e rifare esperienze fallite. Il vero conservatore sa che a problemi nuovi occorrono risposte nuove, ispirate a princìpi permanenti” (“Manifesto dei conservatori”, 1972). Ha scritto Alessandro Campi che Meloni e gran parte del suo attuale gruppo dirigente sono cresciuti leggendo le saghe tolkieniane, non Gentile, Evola o Romualdi. Sulle pareti delle loro sezioni era appeso il poster di Borsellino e non quelli di Leon Degrelle o di José Antonio, come accadeva per la generazione di attivisti immediatamente precedente (“L’ombra lunga del fascismo”, Solferino 2022). E, poi, è cambiato il mondo: con la fine della Guerra fredda e il crollo del blocco sovietico anche l’anticomunismo militante è diventato anacronistico. E, allora, cosa impedisce al presidente del Consiglio di mettere un po’ di ordine nella sua gioventù indisciplinata e di percorrere finalmente l’ultimo miglio? Forse perderebbe qualche consenso, ma sicuramente ne guadagnerebbe molti altri, in Italia e in Europa.

Michele Magno

I dirigenti del partito di Giorgia Meloni, di fronte a quei video, avrebbero dovuto usare solo tre parole: sono degli imbecilli. E insieme con quelle tre parole, avrebbero dovuto compiere un atto politico: cacciare dalle giovanili del partito chi gioca con i valori non negoziabili di una democrazia. Non dire nulla, non prendere provvedimenti, far finta di niente significa considerare secondario un problema che secondario non è. Fare presto.


Al direttore – L’estensore dell’editoriale intitolato “Podemos abortar”, apparso sul Foglio di oggi, commenta il via libera della Corte costituzionale spagnola all’aborto senza obbligo di consenso per i sedicenni. Invitando a leggere un articolo scritto da Nicola Matteucci, l’editorialista conclude evidenziando come “anche per una cultura laica, sociali, azionista e liberale il bambino non nato dovrebbe essere qualcosa piuttosto che il nulla”. Condivisibile. Tuttavia, nell’articolo citato, Matteucci sostiene che “non c’è grande differenza fra l’uccisione di un bambino appena nato e un embrione di sette mesi” e osserva che “la vita di un topo vale più della vita di un uomo”. Se così stanno le cose, non dovremmo concludere che il bambino è “qualcuno” e non “qualcosa”? Cordiali saluti.

Fabio Ferrucci


Al direttore – La questione del fascismo col premierato non c’entra proprio niente. La domanda che dobbiamo porci è: questa riforma serve o no, e a che? E lei crede che andrà in porto o no? Meloni è super forte e stabile. Per chi fa questa riforma, per Gentiloni? Secondo me se fra due anni lei è popolare e i sondaggi la danno vincente al referendum, la riforma si fa, altrimenti no.

Pasquale Pasquino

Prima domanda: penso di sì. Seconda domanda: penso di no. Terzo punto: conterà il merito quando si andrà a votare per il referendum? No: conterà solo la popolarità di Meloni. E i referendum a cui i premier tengono di solito diventano referendum non sulle riforme, non sul premierato, ma sullo stesso premier. Chissà.

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