Meloni profeta in patria, ma a Bruxelles ha davanti un muro. La sponda di Mattarella

Profeta in patria, con premierato al primo sì del Senato e l’Autonomia diventata legge, Giorgia Meloni continua a trovarsi davanti al rebus della nuova Commissione Ue. Un muro.  E dalla festa per i 50 anni del Giornale,  a Milano, ammette, al netto dell’irritazione di lunedì scorso trapelata in tutte le salse, che difficilmente potrà far saltare il banco delle tre principali nomine che guidano Bruxelles:Ursula von der Leyen (Ppe) alla presidenza della Commissione, Antonio Costa (Pse) al Consiglio europeo  Kaja Kallas (liberali) come Alto rappresentante Ue per la politica estera. Al contrario, dice, “il cambio di passo” sarà possibile nel Parlamento europeo. E’ notizia di ieri  che con 83 eurodeputati il gruppo di Ecr (i conservatori) diventa la terza forza dell’Eurocamera. Scavalcando Renew del poco amato Emmanuel Macron.  

“Ci saranno sorprese”, dice Meloni. E tutto fa pensare alle maggioranze variabili che si formeranno a Strasburgo sui singoli provvedimenti. Anche se prima ci sarà da capire come parteciperà Fratelli d’Italia al voto su un sempre più probabile Ursula bis. Trattative aperte e incrociate. Tre sfumature di interesse per Meloni: si va dalla vicepresidenza esecutiva della Commissione a quella formale, fino a un portafoglio di peso (dentro FdI raccontano che Raffaele Fitto stia già cercando casa a Bruxelles, ma sono voci che si gonfiano e si sgonfiano senza trovare la conferma, ci mancherebbe, da parte del ministro con delega al Pnrr, silente gran tessitore della premier). Meloni ha capito che, salvo sorprese, è fuori dal pacchetto di mischia che deciderà i Top Jobs. Ecco perché parla di situazione “surreale”, di “mancanza di democrazia” e di “cambio di passo della Ue che non avverrà”. Parole che sembrano in qualche modo annunciare una resa sulla terna che conta. Discorso diverso riguardo ai commissari e ai vicepresidenti. “L’Italia avrà un ruolo di rango”. Ma per arrivare a questo scenario servirà in qualche modo fare scelte nette a Strasburgo. Qualche consiglio sembra arrivare dal presidente della Repubblica Sergio Mattarella. Il quale, da Bucarest, dice due cose: “No a  fratture o conflittualità che renderebbero difficile risolvere e affrontare in maniera adeguata  problemi così rilevanti. Scelte che vanno prese con una convergenza ampia ”. E sembra un messaggio a chi ha posto dei veti all’Italia nella trattativa e anche ad alcune pulsioni autoisolazioniste. Ma allo stesso tempo il capo dello stato  rimarca come la Ue “è nata all’insegna di alcuni valori, che sono la democrazia, lo stato di diritto, il rispetto della dignità di ogni persona”. 

E questo, sembra un chiaro alert nei confronti delle tentazioni di seguire in questa fase l’Ungheria di Viktor Orbán, incontrato lunedì da Meloni appena arrivata a Bruxelles, prima della cena informale dei 27. In generale la trattativa è lenta e ancora in corso. Da Fratelli d’Italia per strategia dicono che non hanno “alcuna smania” di votare von der Leyen quando la nomina dovrà essere ratificata dall’Europarlamento. Tutto rientra nei giochi. “E’ un accordo fragile, quello sulle nomine”, spiega ancora Meloni. Ecco, il fatto è questo: dopo la vittoria delle europee è andata dritta sulla politica interna (primo ok al premierato e via libera all’Autonomia), pronta a iniziare anche con la riforma della giustizia (incardinata alla Camera), annunciando uno “sblocca Giorgia”. 

Una norma cioè contro la burocrazia nella Pubblica amministrazione a favore delle imprese. Operazioni complicate, ma non impossibili. Almeno in virtù dei numeri in Parlamento, a Roma. Tutto cambia a Bruxelles, capovolgendo appunto la storia che nessuno è profeta in patria.
 

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