Cristiano Ronaldo e quel declino impossibile da dribblare

L’ultimo europeo dell’attaccante portoghese in una Nazionale che ora può fare a meno di lui

Ora che il ritratto nascosto in soffitta ha smesso di invecchiare al posto suo, le rughe che incidono il suo volto cominciano a vedersi tutte. Generando anche un vago senso di orrore. Perché il Cristiano Ronaldo che è arrivato in Germania è la negazione esatta di tutto ciò che il portoghese è stato negli ultimi due decenni. E poco importa se il semplice fatto di aver messo piede in campo contro la Repubblica Ceca lo ha trasformato nell’unico calciatore ad aver disputato sei edizioni dell’Europeo. L’uomo di Funchal, quello che aveva cannibalizzato la Champions League e che aveva triturato qualsiasi record fino a inventarne di impensabili, ha passato tutta la vita a rincorrere traguardi decisamente più ambiziosi. Adesso, però, a 39 anni compiuti l’icona del calcio del nuovo millennio si ritrova a vivere una situazione per lui inedita. Non più fenomeno assoluto, ma relativo.

Con l’esplosione dei talenti offensivi del Portogallo che lo hanno ridotto quasi a un oggetto troppo ingombrante per finire nella valigia del tecnico Roberto Martinez. Colpa di un presente non più coerente con il passato prossimo. La stella di Cristiano Ronaldo inizia a oscurarsi. Velocemente. Al di là di quello che dicono i numeri (35 gol in 31 partite nel campionato saudita). Al di là di quello che raccontano alla stampa i suoi compagni di squadra. Gli ultimi anni illustrano un declino impossibile da dribblare anche per un attaccante dal fisico robotico, dalla cinetica inspiegabile. Tanto che il fisico di Ronaldo non sembra invecchiato, ma intaccato dall’obsolescenza.

Con il suo ritorno a Manchester Cristiano pensava di poter diventare il salvatore della patria per una squadra che si era ormai dimenticata come si vinceva. Invece si è riscoperto un giocatore esattamente uguale agli altri, uno che poteva addirittura finire in panchina come una riserva qualsiasi. Qualcosa di francamente impensabile per un uomo che era abituato a far discutere, non a essere discusso. Il trasferimento in Arabia è stato un azzardo, un modo per sentirsi ancora desiderato, per continuare a vestire una corona che presto sarebbe finita su un’altra testa. Ronaldo è passato da un centro ricco a una periferia ricchissima. Finendo per nascondere le sue giocate proprio agli occhi di un Continente che per una vita non aveva fatto altro che spiarlo. Nell’ultimo anno e mezzo il portoghese è sembrato l’Antonius Block che nel Settimo Sigillo gioca una partita a scacchi impossibile da vincere solo per allontanare il momento della sua fine (sportiva). Ha vinto una Coppa dei Campioni araba nell’indifferenza più totale. Ma in compenso le foto delle sue lacrime hanno fatto il giro del mondo. Prima dopo l’eliminazione del Portogallo dal Mondiale in Qatar (appena 55 minuti giocati da subentrante fra ottavi e quarti). Poi quando ha perso la Coppa del Re. E poi ancora i segni di una tensione esasperata contro avversari, arbitri e pubblico. Anche per questo l’avventura di Ronaldo all’Europei sembra più una sfida per la propria sopravvivenza che per trascinare il Portogallo alla vittoria finale.

Non è un caso che Martinez abbia speso più tempo a giustificare la presenza di Cristiano che a spiegare come intende utilizzarlo. In “La Mano” Simenon scriveva che “ci si abitua talmente alle persone che alla fine continuiamo a vederle come le abbiamo viste la prima volta”. Per Ronaldo non è così. Perché il giocatore di oggi è ancora capace di fare la differenza, ma il personaggio è molto diverso da quello di ieri. Questo sarà l’ultimo Europeo di Ronaldo. E forse è meglio così. Perché non c’è niente di più doloroso di una divinità che cade nella polvere.

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