La porta

La recensione del libro di Georges Simenon edito da Adelphi, 142 pp., 18 euro

Ci sono libri di Georges Simenon dove succede moltissimo, omicidi, suicidi, tradimenti, fughe, viaggi intercontinentali… Poi ci sono rari romanzi dove invece non succede niente. Un niente che però è bilanciato dal sovraccarico emotivo e dalle paranoie che prendono vita propria nella testa dei personaggi. E’ il caso di La porta dove il protagonista è l’handicappato Bernard Foy che ha perso entrambe le mani quando faceva il soldato durante la Seconda guerra mondiale, su una mina “tra la linea Maginot e la linea Siegfried”. Prima di partire soldato si era sposato con la bellissima Nelly. Una volta tornato dal fronte con i moncherini penzolanti, Nelly lo aveva accolto e continuato ad amare come se la menomazione non avesse scalfito minimamente i suoi sentimenti. In un simenoniano palazzo parigino a due passi da Places des Vosges, Bernard a 42 anni sta a casa tutto il giorno – ha una pensione del governo – mentre Nelly va in ufficio, dove è anche riuscita a fare un po’ di carriera. Non vuole sentirsi un recluso, ma stando così tanto in casa finisce per “distinguere i passi di tutti gli inquilini e dei fattorini”. Gli manca Nelly, e questa mancanza lo mette “in uno stato confusionale. E non perché fosse invalido! Non era per via delle protesi che aveva bisogno di lei”. Provava quella sensazione ancora prima della guerra. Guardando fuori dalla finestra soffre aspettando di veder passare l’autobus da cui dovrebbe scendere sua moglie. Le volte in cui Bernard esce dall’appartamento si sente osservato e compatito per gli uncini che gli escono dagli avambracci. Si agita pensando che la gente possa dire di Nelly: “poverina”, costretta a stare con uno così. Non gli piace troppo farsi vedere in giro con lei, e così passeggiano la sera nella Parigi buia. “Non splende di luce propria una donna che è piena d’amore?”, si chiede. E se Nelly, così attraente, ogni giorno più bella, lo tradisse? E se il capo ufficio, il macellaio, un passante ci provassero con lei? “Vorrei che fosse brutta!”, pensa lui a un certo punto. I tarli del dubbio lo assalgono, facendo tremolare ancora di più il suo animo inquieto racchiuso nel corpo di un uomo mite che si sente emarginato e impotente.

Con i dibattiti così millennial sulle relazioni aperte e sul poliamore, è rilassante entrare nella mente dei paranoici novecenteschi, e vedere come vengono vissute senza politicizzazione i dialoghi tra innamorati sulle possibilità – e le sofferenze – del tradimento, compreso quello retroattivo. “Sei davvero geloso dal punto di star male?”, chiede lei.


Con questo romanzo scritto nel 1961 finora inedito chez nous, nella traduzione di Laura Frausin Guarino, Adelphi continua la sua costante missione di ridare vita ai romanzi duri del grafomane belga, avvolgendoli nelle sue copertine chic.

Georges Simenon


La porta


Adelphi, 142 pp., 18 euro

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