Caro Manconi, non sono compagni che sbagliano coloro che fischiano Grossman perché ebreo

Come gli viene in mente a Luigi Manconi di definire compagni che sbagliano i disgraziati che hanno fischiato David Grossman alla festa delle idee bolognese di Repubblica? Siccome Grossman è uno scrittore laico, ha opinioni critiche sul modo di difendersi di Israele, vuole la pace con i palestinesi e ha pagato con il dolore di un figlio ucciso nella guerra del Libano, è ostile a questo governo, ha scrupoli umanitari evidenti nei suoi libri, non ama il governo del Likud, piange come tutti noi i bambini morti in guerra a Gaza, allora è stato un errore fischiarlo, anche se chi lo ha fischiato è in perfetta buona fede e ha commesso solo un legittimo emendabile errore. Il compagno che sbaglia è un vecchio riflesso ideologico della sinistra da sempre politicamente corretta, e della sua stentata pedagogia correttissima. Era una scemenza negli anni Settanta del terrorismo, è una scemenza ora negli anni della guerra di autodifesa di Israele contro i terroristi di Hamas.

 

Chi se la prende con uno scrittore israeliano nel migliore dei casi è uno sprovveduto che ripete la filastrocca “dal fiume al mare” perché crede che Israele sia un paese colonialista e che il sionismo sia un nazionalismo cocciuto e crudele con i suoi nemici, genocida, che bisogna dare addosso a chi in apparenza è più forte, tecnologico, a chi è occidentale nello schieramento delle democrazie contro dittature e teocrazie prenucleari che lo assediano su molti fronti, ed è in alleanza con gli orridi Stati Uniti; nei casi intermedi è un militante che grida contro quello che percepisce come un paese che primeggia, che è capace di fare cose che inducono al benessere e ad ampie libertà civili e politiche, compresa l’eguaglianza di diritto di etnie e nazionalità diverse pur sotto l’egida di uno stato ebraico, mentre dei suoi nemici vede la miseria che genera compassione ma non il nichilismo islamista, il tribalismo, l’odio e la ferocia indicibili spacciati per ansia di liberazione, la sottomissione delle donne e di tutte le minoranze, una cultura tossica e incompatibile con la democrazia e con un progetto realista e severo di perseguimento della libertà e dell’indipendenza nazionale nella convivenza con gli altri; nel peggiore dei casi è il portatore e la vittima insieme di un automatico riflesso antigiudaico, sdoganato fino all’irrisione dell’argomento della Shoah come fondamento del focolare nazionale ebraico, e Grossman è stato fischiato a prescindere dalle sue opinioni, erano intolleranti con lui perché israeliano, qualcuno perché è un ebreo e abita nel paese del sionismo realizzato. Federico Rampini ha spiegato con lucida nettezza due cose: il problema non è chi guida Israele, ma chi guida i palestinesi senza l’obiettivo di pace dell’indipendenza e della tolleranza, e che il momento della verità è venuto quando il capo militare di Hamas, le cui bandiere sventolano nei campus americani e europei, ha detto senza il minimo scrupolo che i morti civili tra i suoi sono un sacrificio necessario al bene della causa.

 

Se questi sono compagni che sbagliano, e che dovrebbero limitarsi ad aggredire il loro fantasmatico nemico, il sionista militante, il religioso, magari il riservista, e comunque l’israeliano diverso da Grossman, lasciando in pace la rappresentazione caricaturale dello scrittore di sinistra come ebreo del salotto buono dei progressisti o liberal, Manconi è un sociologo e un attivista umanitario che diminuisce la sua intelligenza e i propri meriti e li avvilisce nel fondo limaccioso di un equivoco di massa.

 

Un equivoco che va per la maggiore di questi tempi, che distorce il senso e l’identità complessa  della letteratura israeliana da Oz a Grossman, che fa ostacolo oggi alla comprensione del giusto e del vero come faceva ostacolo ieri alla distinzione fra terroristi, filoterroristi, tiepidi di tutte le risme, e difensori della democrazia e dello stato di diritto dalla violenza e dalla sopraffazione. C’erano anche i compagni che non sbagliavano, e Manconi da loro non ha imparato alcunché.

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