I negoziati di Xi con l’Ue sono tutta pressione e scarso dialogo

Ieri il ministero del Commercio cinese ha annunciato di aver avviato un’indagine sulle importazioni dall’Unione europea di prodotti a base di carne di maiale, una settimana dopo l’annuncio di Bruxelles di un aumento dei dazi sui veicoli elettrici cinesi fino al 38 per cento a partire dal prossimo 4 luglio. Ue e Cina sono a un passo dalla guerra commerciale, ma dietro a certe decisioni c’è un consolidato metodo negoziale da parte di Pechino, di coercizione economica e ricatto politico.

 

La leadership di Pechino accusa l’Europa di “sovracapacità”, e di aver sussidiato illegittimamente le sue aziende produttrici di carne di maiale – accuse simili a quelle che Bruxelles ha fatto alla Cina su vari settori, compreso quello importantissimo dell’auto elettrica. L’indagine anti dumping cinese andrà avanti per un anno, e si riferisce a dati e operazioni del 2023. La Cina è il maggior consumatore mondiale di carne di maiale – ne produce molto, quasi 58 milioni di tonnellate, ma ne importa circa un milione e mezzo di tonnellate l’anno. Più della metà delle importazioni di maiale della Cina arriva dall’Unione europea, in particolare da Spagna, Paesi Bassi, Danimarca e Francia. E Parigi non è nei guai soltanto per il maiale: la Francia potrebbe subire da parte cinese anche un aumento delle tasse di esportazione in Cina del cognac prima della fine di agosto, dopo un’indagine che si era aperta a gennaio scorso.

 

Restano poco più di due settimane di negoziati prima che i dazi europei sulle auto cinesi entrino in vigore, e sembra che la leadership stia cercando in tutti i modi di evitare lo scontro, minacciando reciprocità e cercando di far passare, anche attraverso la stampa, un messaggio diretto alla prossima nuova leadership europea. In una nota pubblicata sabato scorso da Ansa, l’ambasciatore cinese in Italia, Jia Guide, ha fatto sapere di sperare che “il governo italiano si attivi seriamente” per evitare i dazi sulle auto e che “fornisca le dovute convenienze e garanzie politiche alle aziende cinesi per investire in Italia”. Il messaggio, probabilmente, è al ministro dell’Industria Adolfo Urso, che nei mesi scorsi aveva contattato diverse aziende dell’auto cinesi in cerca di investitori in Italia. Come Jia, tutti i diplomatici cinesi si sono mossi per fare pressioni, anche pubbliche, sui rispettivi governi europei affinché “l’Ue corregga immediatamente le sue pratiche sbagliate” e “smetta di politicizzare le questioni economiche e commerciali”. La leadership cinese accusa l’Europa di sbagliare nel cercare di riequilibrare il mercato, e lo fa  minacciando di andare a colpire un settore europeo, quello agricolo, che  è stato anche tra  i principali obiettivi della manipolazione delle informazioni da parte russo-cinese nei mesi  di campagna elettorale, nel tentativo, probabilmente, di creare un fronte popolare contro le politiche economiche europee avverse a Mosca e Pechino. 

 

Le operazioni negoziali della Cina in Europa – il vicepremier cinese Ding Xuexiang sarà a Bruxelles questa settimana per copresiedere il dialogo sul clima – arrivano in un momento particolarmente complicato per la leadership cinese. L’ultimo G7 in Italia si è chiuso con uno dei comunicati più duri della storia contro la Cina, accusata di essere una minaccia per la sicurezza economica delle sette grandi economie, e con un cambiamento lento, a volte accidentato, ma inesorabile nei confronti delle relazioni commerciali, e quindi anche politiche, con Pechino. Un secondo mandato di Ursula von der Leyen potrebbe non essere il migliore dei mondi possibili per la leadership di Xi Jinping, che negli ultimi anni ha indirizzato le sue relazioni diplomatiche sull’estrema destra europea, lasciando indietro le formazioni più populiste.  Da giorni nella comunità di osservatori della Cina si parla di uno scoop del Financial Times, secondo il quale nell’aprile del 2023, in un incontro fra Xi Jinping e Ursula von der Leyen, il leader cinese avrebbe detto alla commissaria europea che “Washington sta cercando di spingere Pechino ad attaccare Taiwan”. Un eventuale conflitto per Taiwan, però, minerebbe in modo disastroso l’economia cinese, come dimostrato da tutte le possibili simulazioni, e deteriorerebbe ancora di più l’immagine della Cina nel mondo. Non è chiaro perché Xi abbia messo sul tavolo questa ricostruzione: secondo Jude Blanchette del Csis “se Xi crede davvero che l’America stia cercando attivamente un conflitto con la Cina su Taiwan, allora i timori che abbia creato un vuoto di informazioni o che stia ricevendo cattivi consigli dai suoi subordinati sono preoccupanti”; oppure, come ha detto al Financial Times Bonnie Glaser del German Marshall Fund, il commento potrebbe essere un tentativo da parte cinese di allontanare l’Europa dall’America sulla questione di Taiwan. 

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