Perché von der Leyen vuole più l’appoggio di Meloni che dei Verdi

Bruxelles. I capi di stato e di governo dell’Unione europea sarebbero pronti a sostenere Ursula von der Leyen per un secondo mandato come presidente della Commissione. La decisione formale è attesa al vertice del 27 e 28 giugno, quando i leader nomineranno anche il nuovo presidente del Consiglio europeo e il nuovo Alto rappresentante per la politica estera. L’ex premier socialista portoghese, António Costa, è il favorito per prendere il posto di Charles Michel per presiedere i vertici dell’Ue. La premier estone, Kaja Kallas, potrebbe sostituire Josep Borrell come capo della diplomazia. L’ultimo ostacolo per la riconferma di von der Leyen è il voto al Parlamento europeo, dove la presidente della Commissione è costretta dal realismo politico a puntare più sui voti di Fratelli d’Italia che su quelli dei Verdi

Durante la campagna che ha portato alle elezioni europee del 9 giugno, von der Leyen ha più volte teso la mano a Giorgia Meloni, rifiutandosi di includere il presidente del Consiglio italiano tra i partiti di estrema destra a cui applicare l’esclusione del cordone sanitario. Al contrario, von der Leyen ha implicitamente offerto a Meloni di entrare nella sua maggioranza, riconoscendo che il presidente del Consiglio italiano rispetta i suoi tre criteri: essere pro europea, pro Ucraina e pro stato di diritto. Nonostante le minacce di socialisti e liberali di rifiutare di votare la fiducia in caso di alleanza con Meloni, von der Leyen ha mantenuto la linea. Per la presidente della Commissione, gli “amici di Putin” sono Alternativa per la Germania, il Rassemblement national di Marine Le Pen e i polacchi di Konfederacja. Dopo il successo del Partito popolare europeo alle elezioni, von der Leyen ha promesso di costruire con i partiti centristi un “bastione contro le estreme di sinistra e di destra”. Ma né Meloni né Fratelli d’Italia sono stati inclusi nella categoria. Ora che si avvicina il momento della verità al Consiglio europeo e al Parlamento europeo, la presidente della Commissione ha deciso di fare una concessione più grande a Meloni. Il 3 luglio l’esecutivo comunitario avrebbe dovuto pubblicare il rapporto annuale sullo stato di diritto, con critiche pesanti contro l’Italia per il logoramento della libertà di stampa. Secondo Politico.eu, von der Leyen ha semplicemente deciso di rinviare a dopo il voto del Parlamento europeo, che dovrebbe tenersi il 17 o il 18 luglio. “E’ in modalità campagna elettorale e sta comprando voti”, dice al Foglio una fonte dell’Ue. Un’altra concessione  a Meloni potrebbe arrivare domani, con l’apertura della procedura per deficit eccessivo contro l’Italia. La Commissione dovrebbe rinviare a dopo l’estate la raccomandazione sullo sforzo fiscale richiesto al governo Meloni per il 2025.

Non disturbare i governi nazionali è una delle caratteristiche della governance di von der Leyen e una delle ragioni per cui, anche senza entusiasmo, i leader dei ventisette sono pronti a darle un secondo mandato. Ma, a prima vista, la scommessa su Meloni e Fratelli d’Italia potrebbe apparire azzardata. Socialisti e liberali continuano a classificarli nell’estrema destra e a pretendere che non ci sia alcun accordo formale. Il gruppo dei Verdi al Parlamento europeo ha offerto a von der Leyen di sostenerla per fare da barriera all’estrema destra, anche a costo di essere pragmatico sul Green deal. Con 52 deputati i Verdi dovrebbero essere sufficienti a proteggere von der Leyen dal rischio di franchi tiratori. La maggioranza tra Ppe, socialisti e liberali ha 403 seggi, 42 in più dei 361 voti della maggioranza assoluta necessaria alla conferma della presidente della Commissione. Il partito di Meloni ha 24 eurodeputati. Nel gruppo sovranista dei Conservatori e riformisti europei, solo una manciata di deputati sarebbero pronti a seguire Fratelli d’Italia se dovesse votare a favore di von der Leyen. L’aritmetica consiglierebbe alla presidente della Commissione di puntare sui Verdi. Ma il calcolo politico costringe von der Leyen a cercare l’appoggio di Meloni.

Il principale calcolo politico di von der Leyen ruota tutto attorno al Ppe e alla sua Cdu-Csu. La presidente della Commissione non è particolarmente amata nella sua famiglia politica. Per ottenere il sostegno alla sua candidatura ha promesso di fare marcia indietro sul Green deal. Nel suo manifesto per la campagna elettorale il Ppe di fatto sconfessa l’obbligo di immatricolare solo auto elettriche a partire dal 2035, la misura più simbolica del Green deal di von der Leyen. Anche la Cdu-Csu ha chiesto di rivedere il divieto di immatricolare automobili con motore termico nel 2035. In questo contesto von der Leyen deve assolutamente evitare di dare l’impressione di ascoltare troppo  i Verdi sul Green deal. Il rischio di subire un’emorragia di voti nel Ppe sarebbe troppo alto. Una ripetizione del 2019, quando una parte consistente della sua famiglia politica votò contro di lei (al Parlamento europeo ottenne la fiducia per soli nove voti, grazie al sostegno del Movimento 5 stelle e dei nazionalisti polacchi del PiS) va evitata a ogni costo. Tra Verdi e Fratelli d’Italia, a von der Leyen Meloni appare come la scelta più sicura.

 

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